Firearms united ha diffuso un durissimo comunicato nel quale sottolinea come anche nell'ultimo attentato di Londra, l'elevatissimo numero di vittime e feriti verificatosi in pochi minuti sia stato determinato dall'assoluto divieto di portare armi per i cittadini
Firearms united, il collettivo internazionale di difesa dei diritti dei legittimi possessori di armi, ha pubblicato su Facebook un duro comunicato nel quale commenta la risposta data dalla società civile all’ennesimo attentato sul suolo londinese. “L’hashtag corrente”, si legge nel comunicato, “è #prayForLondon, ma abbiamo già visto #PrayForParis, #PrayForSanBernardino, #PrayForBrussels, #PrayForNice, #PrayForMunich, #PrayForAnsbach, #PrayForReutlingen, #PrayForBerlin, #PrayForIstanbul, #PrayForStockholm, #PrayForDortmund, #PrayForManchester e, prima di allora, abbiamo assistito al versarsi di sangue innocente al Nairobi Westgate Mall in Kenya e al Sydney Lindt cafe in Australia.
Gli hashtag, le preghiere e le affermazioni che “non ci piegherete mai” possono aiutare chi resta, fornire un supporto morale e il senso della comunità, ma non possono ridarci le vittime, né aiutare chi è stato gravemente ferito, ma più di tutto non possono impedire il verificarsi di atti analoghi in qualche altro luogo.
Eventi come questo, sottolineano la tragica stupidità delle normative in materia di armi in vigore nell’Unione europea: in molti Paesi vi sono restrizioni sul numero e sul tipo di munizioni, prescrizioni sulla custodia delle armi e, nonostante questo, i cittadini autorizzati a detenere armi sono raramente, se non mai, autorizzati a portarle addosso per difesa personale. Solo alcuni specifici Paesi, come Repubblica ceca, Slovacchia e Polonia, fanno in parte eccezione a questa regola. L’attacco al London bridge è stato condotto da tre terroristi con un van a noleggio e tre coltelli, ed è durato poco di più degli otto minuti dopo la prima chiamata alla polizia (18 minuti dall’inizio dell’attacco, secondo alcune fonti): sette innocenti sono stati uccisi, quarantotto feriti, ventuno dei quali sono in condizioni critiche.
La polizia metropolitana ha reagito prontamente: sono occorsi solo otto minuti per inviare una squadra armata, mentre le vittime di altri attacchi in altre città d’Europa hanno dovuto attendere di più per essere soccorse. Nonostante questo, in soli otto minuti i terroristi hanno fatto cinquantacinque vittime senza l’uso né di armi da fuoco né di esplosivi, ma solo con l’ausilio di utensili economici e veicoli ai quali chiunque può avere accesso. Come è possibile?
É possibile perché le vittime designate non avevano alcun modo di difendersi. Testimoni e sopravvissuti hanno raccontato ai media di essere stati costretti a gettare vetri e bottiglie contro i terroristi che stavano tagliando la gola di una ragazza, e di come siano stati costretti a utilizzare tavolini e sedie di un pub come scudi. Poliziotti disarmati sono dovuti fuggire per la loro stessa incolumità, altri sono stati gravemente feriti per aver tentato coraggiosamente di reagire con semplici sfollagente.
C’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto ciò. Il mondo occidentale è ossessionato dalla sicurezza: ogni palazzo ha estintori, allarmi anticendio e idranti a ogni angolo; ogni immobile pubblico o luogo di lavoro deve avere per legge un kit di pronto soccorso; ci sono defibrillatori e uscite multiple di sicurezza in ogni centro commerciale, aeroporto, porto e stazione ferroviaria. E nonostante ciò, l’opinione pubblica ha subito un lavaggio del cervello per opporsi al possesso di armi e al porto occulto di armi, l’unico mezzo veramente efficace per prevenire questo tipo di tragedie. Due anni fa, l’attacco contro la redazione parigina di Charlie hebdo è stata la dimostrazione di come le forze dell’ordine non siano in grado di proteggerci, perché i poliziotti o le guardie private non fungono in alcun modo da deterrente: i terroristi sono in pratica sicuri di poter soverchiare la loro potenza di fuoco e prenderli di mira per una eliminazione preliminare prima di dar luogo alla carneficina vera e propria. I rinforzi possono metterci minuti oppure ore ad arrivare, nel caso migliore: negli attentati di Parigi e Berlino, ci sono voluti addirittura giorni per identificare e catturare gli autori. Le vittime potenziali, cioè le persone che si trovano effettivamente sul luogo dell’attacco, sono gli unici che possano fornire una “risposta immediata”. Se sono privati dalla legge dell’unico mezzo efficace per resistere all’attacco e neutralizzare la minaccia, è lecito aspettarsi un elevato numero di vittime. A Praga, dove una elevata percentuale di cittadini porta normalmente armi per difesa personale senza alcuna minaccia per la sicurezza (come dimostrato dalle statistiche nazionali sulla criminalità), un attacco come quello del London Bridge o compiuto anni fa al distretto Akihabara di Tokio, in Giappone, avrebbe ben scarse possibilità di successo, perché i cittadini potrebbero rispondere con le armi agli attentatori con i coltelli, prima ancora che la polizia riceva la prima chiamata di emergenza. Lo stesso vale per Paesi come Slovacchia o Polonia, nei quali un’ampia percentuale di possessori di armi le porta adosso legalmente. L’istinto di autoconservazione è la base di ogni creatura vivente. Il fatto che le autorità, senza avere alcuna prova che un possessore possa abusare delle armi, decidano di proibire su base generale il diritto di portare un’arma per la propria e l’altrui difesa non è solo umiliante e mortificante, ma anche contrario al buon senso. È tempo che i governi nazionali europei e le stesse autorità dell’Unione consentano finalmente ai loro cittadini di portare armi per la loro e l’altrui difesa. I cittadini per la strada sono gli autentici “soft target” dei moderni terroristi, e noi non vogliamo morire con una sedia di plastica in mano. Ridateci la nostra dignità”.