Le recenti dichiarazioni dell'Opal, riprese da Repubblica, riportano in auge i contenuti del delirante ddl proposto a suo tempo dalle senatrici Amati e Granaiola. Ecco, punto per punto, perché sono cose assurde
Nei giorni scorsi, l’edizione on-line del quotidiano Repubblica ha dato ampio spazio alle proposte avanzate dall’Osservatorio permanente sulle armi leggere, per modificare (in senso restrittivo, ovviamente) la normativa in materia di armi ai cittadini.
Al di là dell’evidente differenza di vedute in senso generale tra il mondo degli appassionati d’armi e l’Opal, ciò che tuttavia risalta e lascia molto perplessi non è tanto che l’Osservatorio intenda limitare la diffusione delle armi, quanto piuttosto che alcune delle proposte avanzate abbiano la forma di vere e proprie vessazioni gratuite, senza alcuna motivazione logica e, soprattutto, senza alcuna possibilità di applicazione pratica. Vediamo insieme alcune delle più assurde.
L’Opal propone che “ogni tipo di licenza, compreso il “nulla osta” per la detenzione di armi che si intende utilizzare per gli scopi previsti dalla legge, escluse quelle per collezione, deve essere adeguatamente motivato specificando la necessità di detenere l’arma. Il rilascio di ogni tipo di permesso rimanga a discrezione delle autorità competenti”.
Domanda: se una persona, quindi, motiva la richiesta di autorizzazione all’acquisto di un’arma con l’esigenza di difendere la propria incolumità all’interno delle pareti domestiche, sarebbe un motivo valido per negarla? Se sì, evidentemente siamo passati dalla democrazia alla dittatura senza accorgercene; se no, evidentemente una misura di questo genere non serve a nulla.
L’Opal propone di limitare a sole 50 (contro le attuali 200) il numero di cartucce per pistola detenibili e di proibire la “detenzione privata” di munizioni sportive, obbligando all’acquisto presso i “poligoni e le strutture sportive autorizzate”. Per quanto riguarda il primo punto, non si capisce in quale modo una persona con 50 cartucce dovrebbe essere meno pericolosa di una che ne detiene 200, nell’ipotesi (sottolineata dall’Opal) dei femminicidi o dei delitti commessi nell’ambito famigliare: non risultano casi di persone uccise con 100 o 150 colpi di pistola. Per quanto riguarda il secondo punto, la norma è inutile e assurda: inutile, perché il detentore di armi sportive nel 99 per cento dei casi detiene anche armi comuni da sparo e armi da caccia (quindi continuerebbe a detenere munizioni); assurda, perché l’attività sportiva nella maggior parte dei casi si pratica con munizioni ricaricate (per ragioni economiche ma anche prestazionali, per non parlare dei calibri non più prodotti commercialmente) e anche nel caso in cui si utilizzano munizioni commerciali, spesso occorre approvvigionarsi al di fuori dei Tsn.
L’Opal propone di limitare a 10 il numero massimo di armi da caccia detenibili, e a 1.000 (oggi sono 1.500) il numero di cartucce per fucile. Poiché le armi devono essere tutte denunciate, non si capisce in quale modo un cacciatore sarebbe più pericoloso con 15 armi, rispetto a un cacciatore che ne detiene 9. Allo stesso modo, non si capisce quale sia la differenza (a parte l’ideologia) tra 1.000 e 1.500 cartucce in termini di pericolosità sociale. Tra l’altro, la nuova direttiva europea approvata lo scorso 14 marzo prevede che al crescere del numero di armi detenute debbano crescere anche le misure antifurto, quindi anche quell’aspetto è adeguatamente normato. Non sono noti casi di cacciatori o appassionati che abbiano commesso delitti con 11 o 20 armi diverse!
È la cosa più assurda in assoluto: si vorrebbe obbligare tutti i detentori di armi a stipulare una polizza per poter coprire i casi di femminicidio, omicidio tra le mura domestiche, eccesso di difesa personale eccetera. Piccolo dettaglio: non c’è una singola compagnia di assicurazione al mondo che liquidi un danno derivante da un’azione volontaria. E per i casi di incidenti a caccia o durante il tiro sportivo, le assicurazioni già ci sono.
L’Opal chiede che “Si attui, con apposito regolamento rendendola verificabile da parte delle autorità competenti, la norma già prevista dal Decreto Legislativo n. 204 del 26 ottobre 2010 che prevede che il “nulla osta” all’acquisto delle armi, nonché quello che consente l’acquisizione a qualsiasi titolo della disponibilità di un’arma debbano essere comunicati da parte dell’interessato ai conviventi maggiorenni anche diversi dai familiari, compreso il convivente more uxorio”.
È una delle norme più insensate degli ultimi anni: le persone conviventi, nel 101 per cento dei casi, sono perfettamente a conoscenza del fatto che il convivente o la convivente ha intenzione di acquistare un’arma o ha acquistato un’arma. Se parliamo dei femminicidi, tra l’altro, i casi in cui è stata usata un’arma da fuoco si sono verificati quando la vittima ormai non conviveva più da tempo con l’omicida.
L’Opal dice: “Per ogni tipo di licenza, compreso il “nulla osta” per la detenzione di armi che si intende utilizzare per gli scopi previsti dalla legge escluse quelle per collezione, venga richiesto un certificato comprovante l’idoneità psico-fisica alla detenzione delle armi. Tale certificato, emesso dall’Azienda Sanitaria Locale (A.S.L.) di residenza oppure dagli Uffici medico-legali e dalle strutture sanitarie militari e della Polizia di Stato, venga rilasciato solo a seguito di appropriati esami clinici comprovanti, soprattutto, che il richiedente non fa uso di sostanze stupefacenti e non, come avviene attualmente, per mezzo di una semplice auto-certificazione controfirmata dal medico curante. La verifica dei requisiti venga affidata ad un collegio medico. Che potrà essere composto da tre medici, pubblici dipendenti, di cui almeno uno specialista in neurologia e psichiatria. Tale certificazione sia da ottenersi anche al momento del rinnovo della licenza”.
Si tratta di una questione ormai in ballo da diversi anni, e la risposta non è mai cambiata: in Italia non esiste neanche lontanamente un numero sufficiente di specialisti in neurologia e psichiatria tale da poter attrezzare un numero di commissioni esaminatrici tali da poter gestire il numero di licenze attualmnte rilasciate ogni anno in Italia. Significherebbe la paralisi del sistema, con annesse denunce per interruzione di pubblico servizio
L’Opal dice: “Per ogni tipo di licenza, compreso il “nulla osta” per la detenzione di armi che si intende utilizzare per gli scopi previsti dalla legge escluse quelle per collezione, venga presentato un attestato, rilasciato dopo il superamento di un apposito esame teorico e pratico comprovante la conoscenza della legislazione e l’idoneità al maneggio delle armi. L’esame teorico preveda degli specifici test di conoscenza della legislazione vigente sull’utilizzo delle armi, la legittima difesa, la pulizia, la custodia e il maneggio delle armi. L’esame pratico, da conseguirsi presso i poligoni di tiro autorizzati, preveda specifici test atti a valutare la capacità di utilizzo delle armi in diversi ambienti e situazioni (al chiuso, all’aperto, al buio e con la luce, ecc.)”.
La legge già prevede una certificazione di questo tipo, obbligatoria per conseguire qualsiasi autorizzazione in materia di armi. Circa le “modalità” (al chiuso, al buio eccetera), appare quantomeno “interessante” che alle nostre forze dell’ordine, che vengono dai più considerate “le uniche” autorizzate a far uso dell’arma, tali modalità di addestramento al tiro non siano in alcun modo richieste od offerte.
L’Opal propone che “Ogni tipo di licenza, compreso il “nulla osta” per la detenzione di armi che si intende utilizzare per gli scopi previsti dalla legge escluse quelle per collezione, preveda l’obbligo di frequentare ogni un anno, presso i poligoni di tiro autorizzati, un numero congruo di sessioni di esercizio dell’utilizzo dell’arma. I poligoni di tiro rilasceranno un certificato comprovante la frequenza”.
Anche in questo caso, lo scopo non è quello di migliorare la sicurezza dei cittadini, quanto piuttosto introdurre oneri e spese per disincentivare il possesso di armi. Alle forze di polizia nazionali e ai carabinieri, tali adempimenti non sono richiesti.
“Per la licenza di “porto d’armi per difesa personale” sia mantenuto il rinnovo annuale, nei cinque anni di validità del libretto. Per il rilascio del “nulla osta” alla detenzione di armi si preveda un rinnovo ogni tre anni. Per la licenza per “uso sportivo”, il rinnovo sia modificato dagli attuali sei anni a tre anni. Per la licenza per “uso venatorio”, il rinnovo sia modificato dagli attuali sei anni a tre anni”.
Nel momento in cui si prevede un interscambio di informazioni tra la pubblica sicurezza, le Asl e i medici di famiglia, la durata dell’autorizzazione diventa irrilevante. Portarla quindi dagli attuali sei, o cinque anni, a soli tre, è evidentemente una misura unicamente vessatoria (i certificati medici hanno un costo molto elevato). Tra l’altro, il nulla osta non ha una “durata”: è una autorizzazione all’acquisto singolo di armi o munizioni, che esaurisce la propria efficacia una volta che l’acquisto è stato perfezionato.
“Si valuti la possibilità che le armi ad uso sportivo, ed in particolare quelle dotabili di caricatori amovibili di capacità superiore a 5 colpi per le carabine e 15 colpi per le pistole, siano custodite esclusivamente presso adeguate strutture del Tiro a segno nazionale o delle associazioni di tiro iscritte ad una federazione sportiva affiliata al CONI. Si prevedano misure atte a incentivare che le armi sportive siano detenute presso le suddette strutture”.
Misura incostituzionale (viola il diritto di proprietà) ma, soprattutto, inutile, irrealizzabile e pericolosa. Inutile perché, come già spiegato, il 99 per cento dei possessori di armi possiede armi comuni, armi sportive e armi da caccia, quindi non si troverebbe in alcun modo “disarmato” da una simile misura; irrealizzabile, perché i Tsn e i campi privati non hanno neanche lontanamente le possibilità logistiche di attrezzare armerie-bunker per la custodia di centinaia o forse migliaia di armi; pericolosa, perché anche nel momento in cui si riuscisse a realizzare una simile misura, si otterrebbe il solo scopo di concentrare in luoghi isolati (quali sono, a tutti gli effetti, i poligoni) un numero elevato di armi e munizioni, a disposizione quindi della criminalità (effetto “banda del buco”, e non mancano gli esempi recenti in questo senso).