Dopo il recente fatto di cronaca a Vaprio d’Adda (Mi), con un pensionato 65enne che ha ucciso un rapinatore albanese, interviene Antonio Bana, presidente di Assoarmieri, in questo caso nei suoi panni di avvocato del foro milanese.
Il valore della portata esimente del concetto di difesa della propria dimora domestica pone l’opinione pubblica a schierarsi in modo quasi unanime a favore del pensionato milanese nei recenti fatti di cronaca. Dovendo ancora ricostruire in modo completo e rigoroso quanto accaduto, si può tentare di far luce su taluni argomenti per sviluppare alcuni spunti di riflessione.
Il fulcro del problema attiene al concetto di proporzione necessaria a giustificare la legittima difesa. Esempio di scuola potrebbe essere quello in cui Tizio minaccia un bene di natura economica (denaro, gioielli, eccetera) e il derubato si trova a difendersi con un'arma legalmente detenuta, minacciando, a sua volta, un bene di natura superiore: in sostanza la vita del ladro. Cosa fare o non fare ? Il sistema penale attuale è sempre più “impregnato” dalla paura del nemico (immigrato, tossicodipendente, ladro, terrorista) e da azioni protese a utilizzare le cause di giustificazione per la realizzazione della “tolleranza zero”. Nel 2006, è intervenuta la riforma normativa in materia con la legge 59 sulla legittima difesa (legge n. 59 del 13 febbraio 2006). In base a essa, in tutti i casi di violazione di domicilio la proporzione tra difesa e offesa deve considerarsi già presunta per legge se sussistono le seguenti condizioni: vi deve essere un pericolo di aggressione; l'intruso non deve accennare ad andarsene.
Dunque, solo se vi sono tali due condizioni, il proprietario di casa è legittimato a utilizzare un’arma per difendere sia l'incolumità fisica, sua e dei propri familiari, sia anche i propri beni materiali. Naturalmente ciò vale non solo per la propria abitazione, ma anche per il luogo di lavoro, il negozio, lo studio. In questo modo, la legge tutela chi ha reagito con l'uso delle armi a una violazione di domicilio, anche se la proporzione tra l'offesa del ladro e la difesa del proprietario di casa non sia così evidente: è legittimo, per esempio, utilizzare una pistola contro un ladro che minaccia con un coltello.
Fatta questa premessa, è innegabile che il legislatore del 2006 ha ceduto a pressioni sulla scia di un panico diffuso, appunto introducendo la modifica dell’articolo 52 del codice penale sulla difesa legittima in materia di diritto all'autotutela di un privato domicilio. Il testo attuale così recita: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa”. Al secondo comma è stato inserito: “Nei casi previsti dall’articolo 614 del codice penale (violazione di domicilio) primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo, se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: la propria o altrui incolumità; i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.”
In altre parole, se è in gioco la vita o l’incolumità personale, ogni “reazione” all’interno del domicilio si considera proporzionata fino a prova contraria; se, invece, la minaccia cade su beni patrimoniali, la presunzione agisce nei limiti dell’assenza di desistenza (come invece del ladro in fuga senza bottino, per esempio) e del pericolo attuale di aggressione.
Molte critiche sono state mosse dalla dottrina più autorevole e questa nuova ipotesi di legittima difesa presenta almeno due punti potenzialmente deboli, entrambi contenuti nella lettera b) del secondo comma.
Il primo attiene al pericolo di aggressione. Sebbene riferito alla vita o all'integrità fisica piuttosto che al patrimonio, è null’altro che una pregevole opzione di interpretazione di una norma giuridica suscettibile di repentini cambiamenti. Il secondo aspetto interessa l’attualità dell’aggressione fisica all’interno dell’ipotesi del comma secondo dello stesso articolo.
Si giunge così a interpretare, tra dottrina e giurisprudenza, il fatto che impedirne l’introduzione e l’aggressione, significhi giustificare reazioni normalmente sproporzionate, ma regolarizzate da percezioni di pericolo del tutto personali, potenzialmente sbagliate e spesso non suscettibili di prova contraria ai fini di una legittima difesa. La questione non è di facile soluzione. Si potrebbe, infatti, sostenere che lasciare la possibilità a un semplice cittadino di difendere se stesso e i suoi cari nella propria casa è un diritto inviolabile. D'altra parte, benché in casi simili l’aggressore (colpevole) appaia meno degno di protezione rispetto al suo corrispondente (innocente) nel diverso stato di necessità, la massima cautela rimane un obbligo sia nel giustificare, in generale, un omicidio, sia nel valutare, in concreto, la reazione dell’aggredito!