Dal 4 aprile, sbarca nelle sale cinematografiche italiane Act of valor, un tributo ai reparti più speciali della marina statunitense, i Navy seal, “catturati” con impareggiabile realismo grazie a tecniche cinematografiche innovative. Diretto da Mike McCoy e Scott Waugh, Act of valor è molto più del solito film di guerra, perché la sceneggiatura di Kurt Johnstad (autore anche di “300”) è interpretata da autentici Seal, “prestati” alla macchina da presa. Non si tratta, quindi, di attori professionisti che imitano forze speciali, ma di veri professionisti che mettono in pratica vere procedure e tattiche consolidate in anni di esperienza sul campo. Veri i protagonisti, vere le armi e le tecnologie impiegate, veri persino gli equipaggiamenti, forniti in buona parte da 5.11 che è, infatti, sponsor della pellicola. La vicenda ha inizio con la missione di salvataggio di una agente della Cia, sequestrata da narcotrafficanti sudamericani sui quali stava indagando: il recupero dell’ostaggio consente di ottenere informazioni inedite su un piano di attacchi terroristici sincronizzati, che un integralista islamico ceceno ha intenzione di portare sul suolo americano. Inizierà, così, una caccia frenetica per fermare sul nascere la minaccia, che si snoderà tra cielo, acqua e terra (i tre elementi naturali dei Seal…) con l’utilizzo di mezzi tecnologici di ultima generazione ma, soprattutto, tempra d’acciaio. Al di là dell’evidente (e giustificata dal “patrocinio” della marina alla pellicola) retorica patriottica, il film ha una regia estremamente dinamica e “muscolare” (i due registi sono, in effetti, ex stuntman…), l’utilizzo delle armi è semplicemente impeccabile e i professionisti appaiono per ciò che sono, cioè il prodotto di un addestramento durissimo che porta questi uomini a gestire le più disparate situazioni tattiche con identica scioltezza.
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