Di Claudio bigatti e Antonio Teti – foto Roberto Colacioppo
Nel 2007 Beretta presentò un fucile ambidestro e modulare, con tre differenti lunghezze di canna, compatibile con le norme Stanag, che avrebbe dovuto costituire la spina dorsale dell’innovativo progetto denominato Soldato futuro, frutto di un accordo tra Aero sekur, Beretta, Galileo avionica, Selex e Sistema compositi, riuniti in un consorzio per progettare l’equipaggiamento del soldato del terzo millennio.
L’esercito italiano, capofila nella fornitura delle specifiche per la realizzazione dei diversi componenti che componevano il kit da combattimento, aveva giudicato il progetto “indispensabile” per fronteggiare le nuove sfide dei moderni teatri operativi.
La “strategicità” del programma era tale da aver consentito, nonostante i periodi di “magra”, l’erogazione da parte del ministero della Difesa, per il 2006, di 5 milioni e 300 mila euro per lo sviluppo del programma.
L’occasione per visionare i dispositivi, l’equipaggiamento e soprattutto il nuovo fucile d’assalto Beretta Arx 160 ci fu data dal 46° anniversario dell’esercito italiano, celebrato presso l’ippodromo dell’esercito a Tor di Quinto (Roma).
Fu un’occasione particolare, in funzione della presenza del presidente della Repubblica.
Un primo e rapidissimo esame ci dette la sensazione di grande innovazione nei dispositivi che componevano l’equipaggiamento base.
Il componente più versatile era il nuovo elmetto, munito di un oculare elettronico Nimos (Night mobility system), equipaggiamento modulare di tipo helmet mounted, che consente la massima mobilità del soldato in condizione di scarsa luminosità, sostituendo il tradizionale oculare con una innovativa low light level tv camera presentata all’occhio dell’operatore su un apposito display miniaturizzato. Il medesimo dispositivo viene utilizzato per visualizzare una serie di informazioni: mappe, fotografie e informazioni aggiuntive provenienti dall’esterno. Una telecamera collegata all’elmetto può trasmettere tutte le riprese effettuate alla centrale di comando.
Non fu possibile verificare le effettive potenzialità del dispositivo, dato che nessuno dei componenti era alimentato. Qualche dubbio tuttavia sorse sulla possibilità di visualizzare tutte le informazioni descritte mediante un semplice, minuscolo display.
La grande innovazione del sistema, tuttavia, era rappresentata dalla metodologia di trasmissione dei dati: il wireless.
All’elmetto si collegano anche un binocolo per la visione notturna e diurna, gli occhiali balistici anti laser, un microauricolare e un microfono labiale.
La verifica dello stato di salute del soldato era affidato a un “orecchino salvavita” a pressione (un pletismografo) che consente la misurazione della pressione sanguigna. Mediante il dispositivo è possibile verificare lo stato di salute dell’operatore, e le informazioni di ogni singolo soldato vengono trasmesse via radio alla centrale di comando e a tutti i componenti del team (ipotizzando l’utilizzo da parte delle forze speciali).
Tre “simboli quadrati” identificano lo stato del soldato: verde (in vita), giallo (ferito), nero (deceduto).
Sembra, tuttavia, che il sistema avesse manifestato poca funzionalità durante la simulazione di azioni operative. Alcune indiscrezioni riferirono che il dispositivo, testato da alcuni operatori delle forze speciali, avesse causato non pochi problemi in funzione dello “sgancio” dell’orecchino che si verificava, pare, sistematicamente.
Il comandante di squadra avrebbe dovuto avere in dotazione l’Uab (Unità acquisizione bersagli della Galileo avionica) e un display maggiorato di 8 pollici (Selex – Larimart); il fuciliere i sistemi base con display più piccolo, di 4 pollici; il granatiere il lanciagranate Glx 160 e la relativa centrale di tiro Glfcs (Galileo avionica).
Il fucile in esposizione era privo di otturatore; apprezzabile tuttavia la facilità di inserimento ed estrazione del caricatore, la scomparsa della raffica di tre colpi (disponibili due modalità: colpo singolo e raffica libera), i pulsanti di sgancio del caricatore duplicati.
Il calciolo telescopico può essere completamente ribaltato sulla destra dell’arma e la sua lunghezza può variare: esercitando una pressione sulla parte inferiore del calciolo, è possibile raggiungere la sua massima estensione, tuttavia (e qui sorge il problema!) non esiste un perno o un freno che blocchi la fuoriuscita della parte terminale del calciolo.
Conseguenza, in caso di estrazione in condizioni di stress, facilmente si rischia di perdere il calciolo per strada.
La configurazione della piattaforma Beretta Arx 160 è tradizionale, con largo impiego di tecnopolimeri nella sua costruzione. Le linee tuttavia appaiono morbide e piacevoli, in sintonia con quanto precedentemente sviluppato con la linea Storm: più che family feeling, un design azzeccato anche questa volta.
Il calcio è ribaltabile sul lato destro ed estensibile. L’operazione di chiusura è agevole, grazie a un tasto semicircolare presente sul lato sinistro. Il blocco in chiusura è realizzato tramite un apposito fermo ricavato integralmente nel fusto.
La stampella offre alla spalla, inoltre, una zigrinatura antiscivolo: le regolazioni possibili consentono una adeguata adattabilità antropometrica e una corretta imbracciata anche in presenza di giubbotti antibalistici. L’arma appare composta da soli tre sottogruppi: calcio, castello inferiore comprendente impugnatura e bocchettone di alimentazione, castello super iore con astina integrale. Quest’ ultima soluzione, abbinata alla lunga slitta Picatinny superiore (realizzata in alluminio), sembra offrire ottima rigidità alla piattaforma. Sei punti di aggancio per la cinghia: due per parte sul fusto, uno alla base del calciolo e uno girevole, alla base della presa gas. Il funzionamento viene descritto genericamente come a presa di gas, ma osservando la mancanza di regolazione e l’astina estremamente corta, si può supporre sia un pistone a corsa corta autoregolante (come visto sull’Rx 4), ma di diametro più contenuto, rispetto a una qualche rivisitazione del pistone classico stile Ar 70/90.
Lo stesso dicasi per l’otturatore, specificato come rotante e verosimilmente dotato di alette multiple. La manetta di armamento dovrebbe essere posizionata direttamente sull’otturatore e, vista la doppia finestra ricavata nel castello, dovrebbe avere un sistema di espulsione reversibile (con annessa manetta).
Le lunghezze di canna disponibili sono tre: 254 millimetri (10 pollici), 304,8 millimetri (12 pollici) e 406,4 millimetri (16 pollici).
Gli ingombri longitudinali riferiti alla versione con canna da 16 pollici sono di 1.000 millimetri con calcio aperto nella massima estensione, 950 millimetri con calcio aperto ma non esteso, 750 millimetri con calcio piegato.
Il peso, sempre per la versione con canna da 16 pollici, è di 3.000 grammi scarico: la cura dimagrante rispetto all’ Ar 70/90 (4.050 grammi), pare abbia funzionato. Era in ogni caso una scelta obbligata, visto che le componenti aggiuntive (Icws, modulo laser, pannello di comando) portano comunque a un peso complessivo superiore ai 4.500 grammi. Senza contare l’eventuale presenza del lanciagranate Glx 160 più la centrale di tiro dedicata…
L’ergonomia pare buona, con i comandi ambidestri di selettore e sgancio caricatore. I rail, per quanto al completo nella versione mostrata (a parte quella con canna di 12 pollici), possono all’occorrenza montare ancora torce tattiche o impugnature anteriori.
Nel complesso e vista senza accessori l’arma appare compatta e bilanciata, non erano presenti le mire tradizionali (o di back-up), ma sono comunque previste: tacca di mira a 5 posizioni sino alla distanza massima di 800 metri e mirino regolabile in alzo e derivazione per l’azzeramento. La corta astina incorpora 30 intagli di ventilazione su ogni lato e presenta anteriormente due boccole: una per il centraggio della canna e una superiore a essa, in corrispondenza al sistema di sottrazione dei gas, con una maglietta rotante per la cinghia.
A parte le innovazioni generali, una spicca maggiormente: l’Arx 160 adotta un sistema per la sostituzione della canna, molto rapido. Due levette poste su ciascun lato del fusto, appena sotto la camera di scoppio che, se premute contemporaneamente, svincolano immediatamente la canna.
Questa soluzione è davvero singolare, un passo avanti rispetto ai serraggi tramite viti impiegati da altri fucili d’assalto (H&K 416-417, Fn Scar), pur dotati di sistemi studiati per una sostituzione rapida.
Tra tutti i sistemi di tecnologizzazione del soldato, Arx 160 e Glx 160 erano i primi (e unici forse per lungo tempo) sistemi concepiti dall’inizio a implementazione e integrazione del programma Soldato futuro. Il Felin francese adottava una versione adeguata al programma del Famas; l’Infanterist der zukunft tedesco impiegava l’Heckler & Koch G36; i fondi americani per il Land warrior sembravano definitivamente sospesi e il programma Xm8 archiviato.
L’equipaggiamento, che ha un costo unitario globale che si aggira sui 30 mila euro, ha un peso complessivo di circa 30 kg. Se consideriamo che alla dotazione standard bisogna aggiungere un bel po’ di “attrezzatura” aggiuntiva (munizioni, kit di sopravvivenza, borraccia, eccetera) si rischia di appesantire l’operatore con altri 5-6 chili di equipaggiamento “minimale” necessario per la missione.
Pertanto dovremmo considerare un peso complessivo di poco meno di 40 kg: non poco se consideriamo che il soldato (soprattutto se appartenente alle forze speciali) deve operare con un peso “minimo” che gli possa consentire la massima mobilità durante l’azione.
Non irrilevante è il peso complessivo dell’ arma: circa 6-7 chilogrammi con lanciagranate e centralina.
Non bisogna dimenticare che un maggiore numero di dispositivi elettronici implica l’utilizzo di un numero superiore di dispositivi di alimentazione che, oltre ad aggiungere peso, contribuiscono alla dipendenza del soldato alla ricerca di fonti di alimentazione alternative per le batterie in dotazione.
Pochi mesi prima, il dipartimento della Difesa statunitense ha annunciato che entro il 2035 sarebbe stato disponibile un soldato cibernetico completamente in acciaio e materiali compositi e munito di un microprocessore a intelligenza artificiale. Come aveva asserito un portavoce del Pentagono, rappresenta la risposta finale alla ricerca del soldato perfetto perché “…non si stanca, non beve, non mangia, non dorme non prova dolore, non prova sentimenti o emozioni ed è sempre operativo!”. Forse dovremo attendere proprio questo “cybersoldato” per raggiungere l’obiettivo che molti eserciti si prefiggono.
L'articolo completo è stato pubblicato su Armi e Tiro – giugno 2007