Esiste un fenomeno, dalla crescita ormai preoccupante, che vede il personale sanitario vittima di aggressioni sul posto di lavoro. In realtà, chiunque si occupi di front-desk o comunque chiunque si relazioni per lavoro con il pubblico ha ormai esperienza e consapevolezza che il rischio di subire aggressioni, verbali o anche fisiche, è da considerarsi connaturato al fatto stesso di doversi rapportare ogni giorno con un’utenza indiscriminata. Il mondo della sanità non ne è certo immune. Non a caso già nel 2007 il ministero della Salute aveva emesso la raccomandazione n. 8, “per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari” alla quale ha fatto seguito, nel 2018 e quindi a 10 anni di distanza, una interessante indagine statistica promossa da Federsanità Anci e Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri). I Pronto soccorso risultano quotidianamente bersagliati in tutta Italia da un grande numero di episodi di violenza: più di uno studio rivela infatti come la quasi totalità degli infermieri e medici di Ps intervistati riferisca di essere stata aggredita verbalmente (circa il 90%) o di aver quanto meno assistito ad aggressioni nei confronti di colleghi (95%). Una quota pari al 35% ha subito direttamente atti di violenza fisica e il 52% ne è stata testimone. Si tratta di aggressioni, però, che troppo spesso non arrivano alla denuncia, di fatto lasciando presumere un importante numero “grigio” e dunque un numero di aggressioni in realtà ben superiore (si pensa che addirittura il 90% delle aggressioni in Ps non arrivi alla denuncia). In questo senso, i centri che hanno predisposto e introdotto precise schede di rilevazione degli incidenti e di segnalazione hanno compiuto un grande passo avanti. Le conseguenze delle aggressioni nei Pronto soccorso, per fortuna, si traducono generalmente in lesioni lievi, ma i momenti di tensione e paura vissuti dal personale sanitario e da tutto il pubblico dell’utenza sono da considerare di particolare gravità. Proprio al Pronto soccorso, infatti, ci si rivolge in momenti di cure della massima urgenza, spesso accompagnati da ansie e paure assolutamente giustificate dai timori per la salute nostra o di chi è accompagnato, tanto da aver invocato per anni la necessità di trovare, nel personale sanitario che ci accoglie, non solo la capacità di soddisfare il nostro bisogno di cure mediche ma, ancora prima, di essere ascoltati e capiti. Ma come si possono conciliare la richiesta ai sanitari di ascoltare i nostri bisogni in modo empatico con il fatto di arrivare addirittura ad aggredirli? Nella casistica si trova di tutto: il tossicodipendente che minaccia con una siringa infetta e il prepotente che manifesta la sua indole anche in quello scenario; il soggetto con problemi psichiatrici della più svariata natura e chi, indotto dallo stress generale del momento, si lascia andare a comportamenti aggressivi che di solito non terrebbe: insomma, di tutto e di più, dall’insulto, allo spintone, fino alle percosse, minacce o addirittura al sequestro di medici tenuti in ostaggio per ore. In linea generale possiamo ritenere che esistano due macro-categorie di utenti: quelli caratterizzati da un’indole non aggressiva ma che, a causa di una concomitanza di fattori, possono lasciarsi andare a comportamenti violenti; quelli che, invece, hanno un’indole altamente aggressiva e che, con buona probabilità, la manifesteranno anche in occasione della permanenza al Pronto soccorso. Per la prima categoria i fattori scatenanti sono rappresentati sicuramente da una generale condizione di preoccupazione, quindi da un profilo emotivo già delicato e vulnerabile, sul quale però spesso insistono alcuni “fattori di precipitazione” che provengono dalla struttura, come ritardi che all’utente sembrano o sono in effetti ingiustificati (spesso trovare tempo e modo di spiegare cosa sta accadendo è già di per sé rassicurante nonché prova di attenzione nei nostri confronti); carenza di personale, che va a caricare di lavoro e di stress chi sta prestando servizio in condizioni di sotto-organico, e che rende ancora più difficile gestire l’utenza che, dal canto suo, aumenterà ulteriormente la sensazione di essere trascurata e quindi la sua aggressività; carenza di formazione del personale, proprio nella conoscenza di questi fenomeni e nella capacità di gestirli, a partire dalla comunicazione. Per la seconda categoria, gli aggressivi a prescindere, è invece necessario un potenziamento del dispositivo di security. Ma andiamo con ordine.
La formazione del personale sanitario sul rischio aggressione
È evidente come sia ormai davvero urgente promuovere la formazione specifica del personale sanitario sul rischio di subire aggressioni sul luogo di lavoro. È fondamentale, infatti, che il personale conosca le dinamiche scatenanti e attraverso le quali si manifestano le aggressioni ai danni dai sanitari, che conosca come poter prevenire un’escalation di aggressività dell’utente e che, non ultimo, sappia cosa fare nel momento della crisi, tanto in termini di autoprotezione quanto in termini di procedure di gestione dell’incidente, che naturalmente spetta al datore di lavoro individuare e promuovere. Il personale sanitario dovrà dunque apprendere come impiegare gli strumenti della comunicazione assertiva, così come dovrà imparare a non emettere segnali che possano innescare aggressività negli altri e, al contrario, a leggere nell’altro i segnali di escalation. Non solo! Una migliore conoscenza anche di se stessi e del riconoscimento in sé dei segnali di eccesso di stress sarà altrettanto importante, a evitare che l’operatore stesso possa diventare inconsapevolmente una causa scatenante. Pensiamo alle aggressioni ai Pronto soccorso, ma anche in corsia dopo estenuanti giornate di servizio o ancora – non ultime – alle aggressioni nei confronti del personale che giunge nel pieno dell’emergenza a bordo delle ambulanze o comunque dei mezzi di soccorso. Le strutture sanitarie, dal canto loro, dovranno affrontare un vero e proprio risk assessment relativo al fenomeno delle aggressioni e quindi sempre più: mappare il rischio aggressione come tipico e probabile per chi ha rapporti con il grande pubblico e di conseguenza promuovere la formazione del personale, nel senso detto poco sopra; individuare e mettere in atto ogni misura preventiva ritenuta utile; da sistemi di comunicazione efficace per il pubblico (cartelloni e display con spiegazioni chiare eccetera), fino all’organizzazione degli ambienti di lavoro che strizzi l’occhio anche alla tutela del personale (quando è possibile studiare barriere tra l’operatore e il pubblico, prevedere l’inaccessibilità per il pubblico di strumenti pericolosi di cui potrebbe appropriarsi eccetera); individuare e mettere in atto procedure di gestione della crisi e dunque, tra l’altro, coordinarsi con il dispositivo di security presente e con le forze dell’ordine competenti, formando il personale anche sui comportamenti da tenere in caso di aggressione. Proprio in tema di formazione del personale, è importante considerare come questa possa rientrare serenamente nella formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro che obbligatoriamente il datore di lavoro deve garantire ai lavoratori circa i rischi connessi alle proprie mansioni, prevista dall’art. 37 del D.Lgs. 81/08 (norma-base in materia di tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro). In questo modo è possibile implementare la sicurezza delle strutture sanitarie e, al contempo, consentire al datore di lavoro di assolvere ai suoi obblighi, argomento sempre forte quando si chiede a un’azienda – pubblica o privata che sia – di mettere mano al portafogli…
Le strutture sanitarie sono “Obiettivi sensibili”
Come sta emergendo, non è un caso che le strutture sanitarie siano per norma definite “siti con speciali esigenze di sicurezza“. Lo prevede il decreto del Ministero dell’Interno n. 269/2010 che, nel riordinare la materia della vigilanza privata, ha espressamente previsto il presidio degli ospedali da parte delle guardie particolari giurate: “Devono intendersi come siti con speciali esigenze di sicurezza e, come tali, analogamente affidati alla vigilanza delle guardie giurate, qualora non vi provvedano direttamente le Forze dell’Ordine: – siti dove operano persone che svolgono compiti di particolare delicatezza per il pubblico interesse e per i quali va garantita l’incolumità e l’operatività (ad esempio aziende o presidi ospedalieri e/o sanitari)”. Le osservazioni rilevanti sono due: gli ospedali sono stati dichiarati siti con speciali esigenze di sicurezza, come tali non più trascurabili; è previsto il presidio da parte delle Gpg. Proprio le guardie applicate ai servizi presso gli ospedali risultano però, al pari di medici e infermieri, bersaglio di un numero elevatissimo di aggressioni, da un lato a riprova della delicatezza di questi siti e dall’altro a dimostrazione che occorre fare ancora di più.
La sicurezza fisica delle strutture sanitarie
Storicamente, presso molti Pronto soccorso era ubicato un posto di polizia, presidiato dalle forze dell’ordine che, però, a loro volta faticano a svolgere efficacemente tutti gli incarichi che le sommergono, tant’è che il Dm 269/2010 ha aperto la strada, in via sussidiaria rispetto alle forze dell’ordine, al presidio a cura della sicurezza privata. A quanto sembra la protezione delle strutture sanitarie, però, abbisogna di essere rivista integralmente. Occorre progettare gli spazi a tutela degli operatori; individuare ed adottare le procedure di gestione dell’emergenza di cui si è già detto, prevedere il presidio di un numero adeguato di operatori e – non ultimo – formare il personale della security negli stessi temi indicati per i sanitari, oltre che pensare seriamente alle dotazioni di cui possono necessitare. Il pensiero va a tutto il mondo degli strumenti less-than-lethal che, però a oggi restano preclusi alla Gpg (incaricato di pubblico servizio) poiché non munita dei poteri di limitazione della libertà personale altrui e quindi di utilizzo di strumenti di coercizione.
Gli “utenti difficili”
È giunto il momento di affrontare l’unico tema lasciato in sospeso: come trattare l’utenza che, a prescindere dall’accoglienza e dall’efficienza del servizio, comunque si porrà in modo aggressivo e con tutta probabilità passerà all’aggressione. Si tratta dello “zoccolo duro” dell’utenza, quello che si pone in modo aggressivo sempre, ovunque e in qualsiasi occasione e non si comporterà diversamente in Pronto soccorso. Rappresenta un problema di sicurezza a tutti gli effetti, per questo lo trattiamo a questo punto delle nostre riflessioni. Ancora una volta, la capacità del personale di riconoscere questa tipologia di utenza e di rapportarvisi nel modo giusto rappresenta uno strumento efficace. Per il resto, è proprio nei confronti di questa utenza che vengono in aiuto la predisposizione degli ambienti, le procedure, il presidio di security e il coordinamento con le forze dell’ordine di cui si è detto poco sopra. Con l’aggiunta di un pizzico di capacità di autoproteggersi, almeno nelle battute iniziali nel caso di aggressioni fisiche. Ci rendiamo conto di aver, ancora una volta, “alzato l’asticella”, ma la sicurezza è affare serio e come vale va trattato. La nostra società non può più permettersi (se mai si è potuta permettere) di considerare i pensieri dedicati alla sicurezza come un peso da sopportare e un “adempimento di facciata”. È ora che tutti gli erogatori di servizi, anche di questa natura, comprendano come le risorse destinate alla sicurezza siano in realtà un investimento e non un costo! Per oggi dal pianeta Marte è tutto…