Viene dall’altro capo del mondo l’ennesima dimostrazione che le restrizioni sul possesso legale di armi, di per sé, non sono efficaci nel prevenire l’impiego illegale e soprattutto la disponibilità di armi illegali. L’Australia infatti ha deciso di fronteggiare la minaccia rappresentata dalla disponibilità di armi illegali sull’isola, promuovendo una amnistia permanente che consenta ai cittadini di denunciare le armi non registrate, consegnandole alle forze dell’ordine oppure continuando a mantenerne la proprietà (ammesso, però, che si tratti di categorie di armi detenibili). Oltre ai posti di polizia, saranno autorizzati a ricevere le armi anche i commercianti autorizzati.
La precedente amnistia, la prima dopo i fatti di Port Arthur, risale al 2017 e ha portato all’emersione di circa 57 mila armi illegalmente detenute. Rendendo permanente la possibilità di registrazione o consegna dell’arma senza conseguenze penali, l’auspicio delle autorità federali è quello di limitare il più possibile la circolazione di queste armi illegali e, di conseguenza, limitare al minimo il rischio che possano alimentare il mercato criminale. “Le armi non registrate sono una minaccia per la comunità, sono difficili da rintracciare e possono cadere nelle mani di criminali che commettono crimini terribili evitando di essere scoperti dalla polizia”, ha dichiarato con considerevole sprezzo dell’ovvio l’assistente del ministro per la sicurezza della comunità, Jason Wood.
Appare tuttavia difficile pensare che un soggetto che detenga un’arma pensando di commettere con essa atti criminali, decida di consegnarla spontaneamente semplicemente perché potrà farlo senza conseguenze penali.
La non-efficacia del proibizionismo
Tra le innovazioni del National firearms agreement del 1996, oltre al divieto di possesso di armi lunghe semiautomatiche e a pompa e alla necessità di giustificato motivo per richiedere una licenza in materia di armi (la difesa personale non è considerato un giustificato motivo), c’era anche l’istituzione di un registro nazionale delle armi da fuoco, che avrebbe in teoria dovuto eliminare del tutto il problema delle armi illegali, tanto più considerando che l’Australia è un’isola con una notevole distanza rispetto agli altri Stati dell’area (il che dovrebbe teoricamente rendere più difficile una infiltrazione di armi dalle frontiere e attraverso i confini). Per le categorie di armi che sono state vietate, il governo australiano ha messo in atto un programma di riacquisto al valore di mercato, del costo di oltre 500 milioni di dollari, che tra il 1997 e il 2001 ha portato alla consegna di quasi 660 mila armi. È interessante notare, grazie a uno studio pubblicato la scorsa primavera, che la tendenza relativa agli omicidi e ai suicidi commessi con armi da fuoco è risultata in diminuzione negli ultimi anni, coerentemente e costantemente tuttavia con la tendenza che era iniziata già dal 1979 (anno di inizio dello studio), quindi ben prima rispetto all’entrata in vigore delle restrizioni. Pressoché costanti nel tempo si sono mantenuti gli omicidi commessi con mezzi diversi rispetto alle armi da fuoco, mentre risultano in aumento costante negli anni i suicidi commessi con mezzi diversi rispetto alle armi da fuoco. A fronte di un ingente esborso economico da parte delle finanze statali (sottraendo, va da sé, tali fondi a iniziative per sanità, istruzione, infanzia, cultura, benessere in generale), il risultato è perlomeno discutibile relativamente ai crimini commessi con armi legalmente detenute e, con tutta evidenza, irrilevante per quanto riguarda i crimini commessi con armi illegali, tanto da dover ricorrere a una amnistia permanente.