La diatriba, eterna, tra autorità statali o locali degli Stati Uniti favorevoli alle armi legalmente detenute o a esse avverse, si gioca indubbiamente su molti piani: uno di essi, a quanto pare, è quello prettamente fiscale e anche in questo caso le soluzioni proposte sono decisamente agli antipodi. In West Virginia, per esempio, giovedì scorso è entrata in vigore una legge che da un lato riconosce un credito d’imposta ai produttori di armi e munizioni, dall’altro rimuove ogni tributo Iva (o “Vat”, come viene chiamata negli Usa) dalle vendite di questo tipo di beni. Attualmente, nello Stato l’Iva su armi e munizioni era al 6 per cento, ma in alcune città potevano essere deliberate aliquote più alte.
Nella città californiana di San Jose, invece, si va nella direzione esattamente opposta: le autorità cittadine hanno infatti votato all’unanimità un provvedimento che vorrebbe imporre a tutti i possessori di armi di pagare una tassa, con la quale finanziare servizi di pronto intervento, e stipulare una assicurazione per la responsabilità civile.
Le associazioni di tutela dei diritti dei possessori di armi hanno ovviamente annunciato azioni legali, sottolineando l’incostituzionalità del provvedimento e la sua inapplicabilità pratica senza andare a violare i diritti in materia di Privacy.
Annunciata come novità, ma…
I commentatori degli organi di informazione hanno salutato la decisione delle autorità municipali di San Jose come una novità assoluta nell’ambito degli Stati Uniti. In effetti sembra essere la prima volta che si cerca di tassare il possesso di armi, anziché la vendita di armi (probabilmente, appunto, perché ci sono limiti costituzionali…). Quest’ultima iniziativa (cioè tassare le vendite) era stata assunta nel 2015 nella città di Seattle, con una accisa di 25 dollari per ogni arma venduta nel territorio cittadino e di 5 centesimi su ogni cartuccia, con i proventi si dovevano finanziare sempre progetti di prevenzione della violenza armata. Il risultato fu che la maggior parte delle armerie si trasferì al di fuori del territorio cittadino, mentre i crimini commessi con armi da fuoco (e in particolare gli omicidi) subirono una vera e propria impennata già solo nel volgere di due anni. Per contro, i proventi raccolti furono molto inferiori alle aspettative, e quindi non si riuscì a finanziare alcun progetto. Un successone, insomma…
È stato un refrain anche da noi, ma…
Quello dell’obbligo assicurativo è stato, per un certo numero di anni, un ritornello anche nel nostro Paese, sostenuto da politici contrari alle armi anche con specifici disegni di legge. In teoria, secondo i sostenitori di questa idea, la polizza dovrebbe servire a risarcire i parenti delle vittime di eventuali utilizzi criminali dell’arma, con ovviamente il “benefico” effetto accessorio di gravare il proprietario di ulteriori costi fissi, creando un deterrente al possesso di armi. Peccato che in Italia, ma più in generale per quanto riguarda il concetto stesso di contratto di assicurazione, le compagnie assicuratrici NON risarciscano danni da responsabilità civile determinati da fatti dolosi. Questo perché il contratto stesso di assicurazione prevede l’obbligo di versare una cifra pattuita al verificarsi di un evento “futuro e incerto” e, ovviamente, nel caso di un atto doloso non c’è alcuna “incertezza”, visto che si tratta di una azione volontaria. Questo è peraltro sancito anche direttamente nel codice civile italiano, all’articolo 1917 e una recente sentenza della Cassazione (n. 20786/18) ha stabilito una deroga SOLO ed esclusivamente per quanto riguarda i danni derivanti da sinistri stradali, in virtù delle caratteristiche del tutto peculiari della responsabilità civile da circolazione stradale. Per tutti gli altri ambiti, NESSUNA compagnia assicuratrice pagherà per una azione dolosa.