Si chiama “Disposizioni in materia di controlli sulla detenzione di armi da fuoco e per il rilascio e il rinnovo della licenza di porto d’armi” il secondo ddl presentato dal deputato Pd Walter Verini, all’indomani dei fatti di Voghera e a due anni di distanza dal suo primo draconiano progetto. Il ddl è stato presentato lo scorso 22 luglio alla camera dei deputati con il numero 3218, il testo in questo caso si compone di 4 articoli, contro i 6 di quello del 2019 e risulta decisamente meno “estremo” nelle soluzioni prospettate. Ciò nonostante, presenta a nostro avviso non poche criticità metodologiche.
L’articolo 1 prevede di dare attuazione a un antico refrain dei politici Pd, che contempla l’obbligo per chi intenda richiedere una licenza di porto d’armi, di far accertare la sussistenza dei requisiti psicofisici non già a un singolo medico certificatore, come è oggi previsto, bensì a un collegio medico “costituito presso ciascuna azienda sanitaria locale, composto da tre medici del Servizio sanitario nazionale, di cui almeno uno specialista in neurologia e psichiatria”. Analogo obbligo è poi stabilito dal successivo articolo 2 per coloro i quali intendano richiedere il nulla osta. Il successivo articolo 4, peraltro, esclude da questo obbligo i titolari del porto di fucile per uso caccia e i “titolari di licenza per uso sportivo iscritti a una delle federazione o a una delle associazioni con esse convenzionate che svolgono attività sportiva con l’utilizzo delle armi”, nonché i collezionisti di armi antiche.
Innanzi tutto è, a nostro avviso, grave che un parlamentare della Repubblica presenti un disegno di legge nel quale si cita un titolo di polizia che non esiste (la “licenza per uso sportivo” non esiste, la legge 323 del 1969 parla di “licenza di porto di fucile per l’esercizio dello sport del Tiro a volo” e tale indicazione è quella riportata sui libretti, qui siamo al cospetto di un disegno di legge della Repubblica italiana, non si stanno facendo quattro chiacchiere tra amici). In secondo luogo, il combinato disposto degli articoli 1 e 4 evidenzia un altro tema caldo nella propaganda Pd, tale per cui coloro i quali richiedono e ottengono il porto di fucile per Tiro a volo e poi non esercitano effettivamente il tiro sportivo al poligono, sarebbero più pericolosi rispetto a coloro i quali vanno a caccia o vanno a sparare periodicamente. Se intendiamo correttamente la lettura del ddl, in teoria quindi la visita presso il collegio medico dovrebbe spettare a tutti coloro i quali richiedono un porto d’armi o un nulla osta per la prima volta, mentre per il rinnovo sarebbe richiesta solo ed esclusivamente a coloro i quali siano titolari di un porto di fucile per Tiro a volo, ma non siano iscritti a una federazione sportiva o “ad una delle associazioni con esse convenzionate che svolgono attività sportiva con l’utilizzo delle armi”. Quindi, la “tessera” evidentemente salva dalla pazzia.
Al di là della singolarità della soluzione in sé (ricordiamo che la licenza vale 5 anni, nel corso dei quali il cittadino può, a proprio piacimento, decidere di frequentare magari per un anno il Tiro a segno, poi sospendere per un anno, poi riprendere e così via), è appena il caso di ricordare che l’istituzione di queste commissioni presenta numerose criticità dal punto di vista della praticabilità e del funzionamento, atteso il fatto che considerando anche i titolari di porto di pistola per difesa personale e le guardie giurate, queste commissioni dovrebbero verificare svariate decine di migliaia di richieste l’anno.
L’articolo 2 del ddl prevede di istituire un obbligo giornaliero di comunicazione delle vendite da parte delle armerie nei confronti dell’ufficio di pubblica sicurezza, contro l’attuale obbligo mensile previsto dall’articolo 35 Tulps. Quale utilità pratica ciò possa avere in concreto non è dato sapere, atteso che già oggi in capo all’armeria compete l’annotazione quotidiana delle vendite sul registro delle operazioni (appunto…) giornaliere. La tracciabilità di ogni singola transazione è, conseguentemente, già oggi assicurata (anche per via telematica) e, peraltro, considerando che l’armeria può vendere solo ed esclusivamente a chi abbia una licenza o un nulla osta validi, non si comprende davvero quale sia la ratio del provvedimento, né tantomeno risultano emerse criticità in questo senso nel corso degli ultimi anni. Ma tant’è.
Con l’articolo 2 si prevede di estendere il famigerato obbligo di comunicazione dell’avvenuto rilascio di un porto d’armi o nulla osta, che oggi riguarda i “conviventi maggiorenni, anche diversi dai familiari, compreso il convivente more uxorio”, anche “all’altra parte dell’unione civile, anche se cessata, nonché a chi sia o sia stato legato da convivenza o da stabile relazione affettiva”.
Desta non poche perplessità dal punto di vista giuridico, prima ancora che pratico e logico, il riferimento a unioni civili “cessate” come anche a chi “sia stato legato” da “stabile relazione affettiva”. Che cosa vuol dire? Se un cittadino dieci anni prima (o venti, o trenta…) è stato fidanzato per (ipotesi) due anni, anche senza aver convissuto, deve andare a recuperare l’antica fidanzata per farle sapere che ha preso il porto d’armi? E ponendo il caso che non sia in grado di trovarla? Perché magari ha cambiato città o persino Paese? E chi può a questo punto verificare se l’obbligo sia stato assolto? Bisognerà istituire un registro delle ex fidanzate o degli ex fidanzati, anche se non si è mai stati domiciliati sotto lo stesso tetto? Ma siamo impazziti o cosa?
Va detto che l’obbligo di comunicazione del rilascio di un porto d’armi ai famigliari conviventi, disposto per la prima volta con il decreto legislativo 204 del 2010, è a tutt’oggi non operante a causa della mancata pubblicazione del relativo regolamento attuativo. Non si comprende, peraltro, quale dovrebbe essere l’utilità di tale comunicazione, atteso il fatto che nell’eventualità di situazioni critiche all’interno dell’ambito famigliare o affettivo, molto più utili sarebbero invece le denunce da parte dei famigliari per i comportamenti impropri del soggetto al quale, a questo punto, la licenza potrebbe ben essere rifiutata. A tutt’oggi, peraltro, dopo 10 anni dall’entrata in vigore di questa disposizione, il ministero dell’Interno ancora non è stato in grado di spiegare come e con quali modalità il titolare del porto d’armi dovrebbe comunicare ai conviventi il rilascio della licenza (modalità, va da sé, che siano poi anche dimostrabili).
L’articolo 3 prevede l’obbligo per il ministero dell’Interno di istituire linee guida per la formazione del personale, in vista dell’istituzione del sistema informatizzato di gestione delle informazioni sulle armi e sui relativi detentori, previsto dal decreto legislativo 104 del 2018.
Quello che fa obiettivamente paura in questo ddl non sono tanto le disposizioni in sé, quanto l’evidente sciatteria con la quale sono state compilate, senza minimamente preoccuparsi dell’effettiva praticabilità di esse da parte degli operatori di Ps preposti poi al controllo di queste delicate materie. Il sincronismo perfetto rispetto a quanto accaduto a Voghera (dove un assessore comunale ha sparato a un immigrato irregolare, uccidendolo), evidenzia l’apparente necessità di “marcare il territorio” di una parte politica rispetto all’altra, con mosse formali che, dal punto di vista sostanziale, risultano assurde, impraticabili o semplicemente inutili. È questa la politica?
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PDL limitazione diffusione armi per uso personale_depositata