La pandemia da coronavirus ha posto l’attenzione sul valore della biodiversità e l’urgente necessità di adottare misure per la sua salvaguardia. L’Ufficio studi e ricerche faunistiche e agro-ambientali di Federcaccia mette a fuoco il ruolo centrale del cacciatore-gestore
Può l’emergenza coronavirus coinvolgere anche la figura del cacciatore? Dall’Ufficio studi e ricerche faunistiche e agro-ambientali di Federcaccia la risposta è “sì”. Il ruolo del cacciatore esce rivalutato da una pandemia che ha mostrato come la fallimentare gestione del rapporto uomo-animali selvatici, vedi l’ormai noto caso del mercato cinese di Wuhan, possa portare a conseguenze drammatiche. In Europa, e in particolare in Italia, il problema non è certamente legato a persona che si cibano di pipistrelli, ma ci sono comunque situazioni che, se sottovalutate, possono portare a effetti negativi per la salute della comunità.
Nonostante l’origine del virus che ha causato la pandemia non sia stata ancora scientificamente accertata, numerose evidenze sembrano attribuire la genesi dell’emersione del virus al regno selvatico, in particolare ai pipistrelli. Il successivo passaggio all’uomo del nuovo virus, denominato Covid-19, sembrerebbe causato da una commercializzazione di chirotteri per uso alimentare. Questa situazione ha concretizzato uno dei fattori già identificati da tempo come causa di emersione di nuovi virus dall’ambiente animale all’uomo: situazioni di stretta interazione animale-uomo largamente diffuse possono provocare il passaggio di nuovi virus zoonotici all’essere umano. Le ripetute interazioni uomo-animale sono spesso causate da comportamenti del genere umano legati a una sua invasione degli elementi naturali, spesso come conseguenze di una crescita demografica sempre maggiore e una relativa ricerca di nuovi spazi sottratti alla natura, in un contesto privo di cultura in materia di prevenzione e in una situazione di totale assenza di gestione della risorsa naturale. È chiaro quindi che una mancanza di conservazione e gestione sostenibile della risorsa naturale può tramutarsi in rischio quanto mai concreto per la salute. È quindi necessario per la salvaguardia della natura, a tutte le latitudini, un contributo di tutte persone che hanno rapporti diretti con essa e la fauna selvatica in termini gestionali.
In questo contesto l’attività venatoria compie il proprio ruolo di mediatore tra le interazioni tra fauna selvatica e uomo. Il ruolo del cacciatore è proprio quello di bilanciare i conflitti che possono nascere tra fauna selvatica e uomo, gestendo oculatamente la risorsa fauna e svolgendo il fondamentale ruolo di limitare la crescita esponenziale di alcune specie animali e i relativi danni che queste, vedi il cinghiale, possono provocare all’agricoltura. Il ruolo dei cacciatori si concretizza anche nel limitare la proliferazione di alcune specie animali invasive, come per esempio la nutria, che provoca danni ingenti non solo all’agricoltura, ma alla stessa biodiversità autoctona.
Il cacciatore, nell’ultimo decennio, si è scrollato di dosso l’immagine di semplice “raccoglitore” e ha iniziato a vestire i panni del cacciatore-gestore. L’uomo-cacciatore è chiamato a gestire gli aspetti sanitari legati alla fauna selvatica con la finalità di prevenire l’introduzione e la comparsa di nuove malattie e di monitorare la presenza/assenza e la diffusione di patologie. E i cacciatori, come sempre, non si sono tirati indietro: influenza aviare, peste suina, tubercolosi, West Nile… Tante malattie sono monitorate nella fauna selvatica grazie ai cacciatori, che gestiscono una risorsa in modo sostenibile per le generazioni presenti e future con le modalità e secondo le indicazioni derivanti dalla scienza.