Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7830 dell’8 settembre 2022, ha accolto il ricorso di un cittadino che si è visto negare il rinnovo del porto d’armi per Tiro a volo, perché tre anni prima era stato sorpreso alla guida di un veicolo con un tasso alcolemico superiore al consentito. Da tale circostanza, la Questura he dedotto l’insussistenza dei requisiti di completa e assoluta affidabilità, previsti dalla legge ai fini del rilascio di autorizzazione di polizia in materia di armi.
Il cittadino, difeso dagli avvocati Antonio Bana e Antonio Sala Della Cuna, ha proposto ricorso al Tar, il quale tuttavia ha respinto l’istanza, sostenendo che che l’episodio posto a fondamento del decreto di diniego della questura supportasse adeguatamente il giudizio di pericolosità sociale dell’interessato per l’ordine e la sicurezza pubblica, malgrado si fosse trattato di un singolo episodio isolato.
Il Consiglio di Stato ha invece accolto il ricorso, osservando che “nel caso di specie, il giudizio prognostico di pericolosità sociale dell’appellante non sia stato sorretto da una attenta e adeguata istruttoria, risultando agli atti diverse circostanze astrattamente idonee a dimostrare l’inattendibilità dell’inferenza prodotta dall’Autorità di pubblica sicurezza. In particolare, l’appellante sottolinea – senza essere smentito dal Ministero costituito in giudizio – che l’evidente stato di alterazione psicofisica assunto dall’Amministrazione a sostegno del giudizio di inaffidabilità nell’uso delle armi non sarebbe supportato da alcuna prova in atti, risultando al contrario sconfessato dal tasso alcolemico accertato nel corso del controllo, pari a 0,69 g/l, dunque sotto la soglia di rilevanza penale. Parimenti, l’interessato contesta l’erronea valutazione della Questura in ordine al possesso dei requisiti psicofisici minimi per il rilascio della licenza, non solo perché l’Autorità adita avrebbe omesso di porre in essere tutti gli accertamenti opportuni al fine di verificare la sussistenza o meno di una situazione di dipendenza da alcool, ma anche perché sussisterebbero prove contrarie, evidenziate da certificazioni sanitarie rilasciate da pubbliche strutture.
Sul punto, occorre valorizzare la circostanza per cui l’appellante, a seguito del ritiro della patente, è stato sottoposto ad alcuni esami di routine, volti a verificare l’effettiva dipendenza da alcool, che hanno escluso qualsiasi possibilità di abuso di alcool. Da ultimo, l’appellante mette in rilievo l’unicità dell’episodio e il fatto che, in data 3 settembre 2013, gli è stata rilasciata una nuova patente, la cui validità decennale è stata confermata il 5 giugno 2014, a seguito dell’accertamento della sussistenza dei requisiti fisici e psichici di idoneità alla guida. Ne segue che la sentenza gravata, nella sua rigidità preclusiva, ha errato nel considerare adeguatamente motivato il provvedimento reiettivo basato esclusivamente sulle condotte illecite sanzionate a livello contravvenzionale dall’art. 186 del Codice della strada.
Deve infatti osservarsi che il carattere del tutto isolato dell’episodio contestato, nonché gli esami specifici effettuati dall’appellante al fine di verificare la sussistenza di una situazione di dipendenza alcolica, non consentono di desumere una dedizione al consumo non moderato di sostanze alcooliche, cui potrebbe effettivamente connettersi un deficit di affidabilità in ordine all’uso delle armi. Né la vicenda posta a fondamento del provvedimento reiettivo – per quanto elevato sia il disvalore correlato alla condotta di guida in stato di ebbrezza – presenta alcun collegamento con l’esercizio della pratica sportiva, cui la licenza è nella specie esclusivamente funzionale, ovvero in generale con la disponibilità delle armi da parte dell’appellante, tale da consentire di inferire che quell’episodio sia indicativo del pericolo di abuso da parte del medesimo. Corollario della discrezionalità della valutazione fatta dall’Amministrazione nella materia del rilascio del porto d’armi è che dal provvedimento emergano chiaramente le ragioni per le quali la valutazione della personalità complessiva del soggetto, della sua storia di vita pregressa e delle presumibili evoluzioni del suo percorso di vita, ha condotto l’Autorità a determinarsi nel senso di vietargli la detenzione e l’uso delle armi, avendolo ritenuto allo stato pericoloso o comunque capace di abusarne. Non può, invece, ritenersi sufficiente una motivazione scarna, apodittica, fondata su un singolo elemento non corroborato da ulteriori indizi”.