Non è solo la Cassazione, con sconcertante periodicità, a emettere sentenze lunari in materia di armi: anche il Consiglio di Stato, a quanto pare, non vuol essere da meno.
Così, la sezione Terza ha emanato la sentenza n. 08522 pubblicata il 5 ottobre scorso, con la quale ha confermato la decisione presa a suo tempo dalla locale prefettura, di vietare la detenzione delle armi a un cittadino residente in Lombardia, colpevole di aver esploso un colpo a scopo intimidatorio per allontanare alcuni ladri che si erano introdotti in un magazzino adiacente all’abitazione.
Alla base del provvedimento di divieto di detenzione delle armi, la prefettura ha addotto la considerazione che alla base dell’esplosione del colpo intimidatorio non vi fossero “effettive esigenze di difesa derivanti da situazioni di immediato e grave pericolo per l’incolumità personale”, ritenendo quindi sussistente “una grave negligenza nell’uso delle armi”.
Il cittadino ha proposto ricorso al Tar di Brescia, il quale aveva invitato l’amministrazione a riesaminare il provvedimento, compiendo una istruttoria più accurata in merito alle motivazioni che avevano spinto il ricorrente a sparare il colpo fatidico. La prefettura ha, tuttavia, confermato il proprio provvedimento, sia perché “l’uso dell’arma da fuoco (…omissis…) avrebbe dovuto costituire l’ultima soluzione in caso di pericolo immediato, in quanto, al di là dell’attivazione dell’allarme del magazzino – e non dell’abitazione –, non sussistevano ulteriori indizi della effettiva presenza dei ladri”. La prefettura ha tuttavia ritenuto di vietare la detenzione delle armi anche perché “l’arma era detenuta dall’appellante in virtù di pregressa titolarità di licenza di porto per uso sportivo, che all’epoca dei fatti risultava scaduta. Da tale circostanza, la Prefettura ha dedotto l’abuso dell’arma detenuta per uso sportivo e utilizzata – di fatto – per difesa personale”.
Il consiglio di Stato, nel giudicare inammissibile il ricorso da parte del cittadino, ha trasformato il motivo secondario della decisione della prefettura, in motivazione primaria, argomentando incredibilmente che “Assume rilievo dirimente, ai fini del sindacato di legittimità del decreto prefettizio, la circostanza, indebitamente sottaciuta dall’appellante, per cui il colpo è stato esploso in aria al fine di allontanare alcuni soggetti che si erano introdotti nella sua proprietà, dunque per difesa personale, benché la licenza dell’arma fosse stata rilasciata per uso sportivo. Come correttamente evidenziato dalla Prefettura, il rilascio della licenza di pistola per uso sportivo non consente di utilizzare l’arma da fuoco per finalità diverse rispetto a quelle per cui la licenza è stata concessa. L’appellante non ha infatti mai chiesto il rilascio di una licenza di porto d’arma per difesa personale. Tale circostanza non è trascurabile, in quanto altri sono i presupposti e i procedimenti, quando si tratti di rilasciare licenze per difesa personale. La Sezione ritiene dunque immune dai denunciati vizi la determinazione dell’Amministrazione di disporre il divieto di detenzione di armi e munizioni, quando l’arma, legittimamente detenuta per una determinata finalità, sia utilizzata in modo improprio. Nella specie, l’appellante si sofferma unicamente sulle circostanze di fatto tese a giustificare lo sparo in aria, trascurando tuttavia che l’arma risultava disponibile per una finalità diversa dalla difesa personale e che, di fatto, è stata utilizzata in modo improprio. Il peso di tale circostanza, unitamente agli altri elementi evidenziati nel provvedimento avversato in primo grado, costituisce un’ipotesi ragionevole e probabile di inaffidabilità del soggetto”.
Siamo alla follia
Le affermazioni svolte dalla prefettura e poi dal Consiglio di Stato sono di particolare gravità, perché evidenziano che per entrambi questi organi dello Stato, non c’è alcuna differenza tra la detenzione dell’arma, e il possesso di un titolo autorizzatorio l’acquisto e il porto (tra l’altro, in questo caso, pure scaduto), piuttosto che un altro. O meglio, non si ha alcuna idea della differenza tra il concetto giuridico di detenzione e quello di uso dell’arma.
In altre parole: il possesso di un porto d’armi per difesa personale autorizza indubbiamente il cittadino che ne sia dotato, a portare addosso, carica, l’arma al di fuori della propria abitazione, cioè il luogo nel quale l’arma è detenuta. È chiaro che in assenza di tale licenza, l’arma non potrà essere PORTATA fuori di casa (quindi carica, nella pronta disponibilità dell’individuo), bensì unicamente TRASPORTATA, come per esempio consente un porto di fucile per Tiro a volo nei confronti di una pistola. Ed è altrettanto evidente che nel caso in cui un’arma fosse PORTATA senza licenza, si incorrerebbe nel reato di porto abusivo d’arma (che, in quanto reato, attiene alla sfera del diritto penale e non amministrativo).
Non si capisce, tuttavia, per quale motivo un soggetto che abbia in casa propria un’arma da fuoco (da caccia, sportiva, comune da sparo) regolarmente denunciata, non possa impiegarla per difendersi all’interno della propria abitazione (o delle sue adiacenze e pertinenze), salvo il fatto (questa sarebbe l’incredibile tesi) che sia in possesso del porto d’armi per difesa personale (che tra l’altro, come è noto, non viene praticamente più rilasciato ad alcuno). È appena il caso di ricordare che la legge 110/75 e le altre leggi collegate (come la 85/86 o la 157/92) fanno distinzione tra le armi comuni da sparo, le armi sportive, le armi da caccia e le armi antiche, ma la categoria delle armi “per difesa” NON ESISTE. È altrettanto pleonastico (o forse, a questo punto, non lo è affatto…) ricordare che l’articolo 52 del codice penale, il secondo comma (aggiunto dalla novella del 2006) considera proporzionata la reazione alla minaccia se “taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma LEGITTIMAMENTE DETENUTA o altro mezzo idoneo al fine di difendere a) la propria o l’altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione”.
Secondo la prefettura e il Consiglio di Stato, quindi, solo le armi a suo tempo acquistate con un nulla osta che portasse esplicitamente nella domanda la motivazione “per difesa abitativa” sarebbero utilizzabili per difesa? O quelle acquistate con porto d’armi per difesa personale (che, tanto, non viene più rilasciato)? Ma quando mai si è parlato di “detenzione per uso sportivo” delle armi? La “detenzione” è sempre e solo una, sarà poi eventualmente il possesso di una licenza piuttosto che un’altra che potrà determinare l’esercizio di una attività (il tiro sportivo, la caccia, la difesa personale) piuttosto che un’altra, attività tutte queste che si svolgeranno necessariamente al di fuori della propria abitazione e delle appartenenze di essa.
Ma lo sanno, prefettura e giudici, che anche nel momento in cui un cittadino fosse intestatario di un porto di fucile per Tiro a volo, di un porto di fucile per caccia e di un porto di pistola per difesa personale simultaneamente, la denuncia delle armi è una sola? E che nella denuncia non viene minimamente riportato con quale tipo di licenza siano state a suo tempo acquistate le singole armi? Ma come è possibile che due differenti organi dello Stato, e di tale capitale importanza, per di più, siano incorsi in tale grossolano travisamento della realtà?