L’operazione di riacquisto delle armi da parte del governo canadese, che dovrebbe essere effettuata entro l’autunno 2023 per gli oltre 1.500 modelli di armi dichiarati vietati con un decreto del primo ministro Justin Trudeau, avrebbe un costo stimato in circa 756 milioni di dollari. Se, tuttavia, fosse approvato l’emendamento presentato poche settimane fa al disegno di legge C-21, emendamento che mira a espandere la definizione di “arma d’assalto” in pratica a tutte le armi lunghe semiauto con caricatore amovibile, allora il costo si prevede che possa aumentare di un ulteriore miliardo di dollari. È la stima formulata dal criminologo Gary Mauser, intervistato dal National post, al quale ha dichiarato: “si tratta di armi che hanno un’ampia diffusione e, inoltre, hanno un valore stimato compreso tra i 900 e i 3.000 dollari cadauna, anche se ovviamente il valore potrebbe diminuire in funzione delle condizioni di conservazione. Alcune tra le armi recentemente proibite, tra l’altro, possono arrivare a costare 7 mila dollari: queste non sono armi da criminali”.
L’operazione di buyback potrebbe, peraltro, avere riscontri decisamente deludenti sotto il profilo della percentuale di cittadini legali detentori, che accettino di consegnare volontariamente le armi: esattamente come è avvenuto in nuova Zelanda. Anche perché, come era già nell’altro dominion britannico, anche in Canada non esiste un registro delle armi da fuoco legalmente detenute, esistono solo stime, che parlano di una cifra oscillante tra 13 e 20 milioni di armi.
I territori autonomi di Alberta, Manitoba, Saskatchewan e New Brunswick hanno comunque già dichiarato che, anche con i costi originariamente previsti, non hanno i fondi necessari per finanziare l’iniziativa di riacquisto. A queste province ha fatto eco anche quella dello Yukon, che in teoria sarebbe favorevole al provvedimento ma, appunto, non ha il denaro per provvedere.
In relazione al crescente allarme presso l’opinione pubblica canadese, in merito a quanto restrittiva si dimostrerà nei fatti la nuova normativa in materia di armi, è intervenuto il ministro della pubblica sicurezza, Marco Mendicino, il quale ha liquidato come “allarmismo conservatore” le polemiche, sottolineando che “il governo non ha intenzione, nessuna intenzione, di proibire le armi lunghe da caccia”. Una interpretazione letterale dell’emendamento attualmente in discussione non potrebbe far altro che portare, però, a questa conclusione.