Biofire è un’azienda statunitense che, pochi giorni fa, ha lanciato in pompa magna Smart gun, una nuova pistola semiautomatica striker in 9 mm (con caricatore da 10 o 15 cartucce) dotata di un rivoluzionario sistema intelligente di riconoscimento del proprietario. L’arma infatti, oltre alle classiche sicure automatiche (sul grilletto e sul percussore) per evitare spari involontari, è concepita in modo da risultare inutilizzabile nei confronti di un tiratore che non sia autorizzato. Quando l’utente afferra l’arma, quest’ultima effettua un riconoscimento biometrico tramite impronte digitali e riconoscimento facciale 3D all’infrarosso (i due sistemi operano in modo indipendente, a seconda di quello che venga attivato prima) e sblocca il sistema di scatto, consentendo lo sparo.
L’azienda dichiara che l’arma è in grado di riconoscere l’utente anche se quest’ultimo indossi guanti e coperture per il viso e, inoltre, ha espresso ufficialmente il proprio sostegno relativamente al fatto che eventuali normative statali sulle smart guns lascino, comunque, libertà di scelta agli utenti.
Gli organi di informazione che si sono occupati in questi giorni della questione evidenziano in modo entusiastico le qualità del sistema, che ha tra i propri indubbi pregi quello di non richiedere braccialetti o altri oggetti (come i sistemi Rfid) o la digitazione di un codice di sicurezza.
Restano, tuttavia, sempre sul piatto le consuete incognite relative al concetto stesso di smart gun: innanzi tutto, il sistema è elettronico, quindi intrinsecamente delicato (anche se l’azienda specifica che la tecnologia utilizzata per i cablaggi è la stessa degli aerei da combattimento), non è chiaro se l’azienda abbia svolto test di durata per capire se il sistema si mantenga efficiente anche dopo un elevato numero di colpi (e di rinculi) sparati. Poi c’è sempre il fatto della batteria, che è soggetta a consumo: una pistola “non smart” può restare per anni, anche decenni, in un cassetto e quando la si prende è comunque pronta all’uso. Infine, c’è da capire se e in quale misura il sistema di riconoscimento biometrico sia realmente efficiente con una molteplicità di guanti e/o di “ingombri” facciali (come occhiali da sole o da vista con differenti montature, diverse pettinature, casco da moto eccetera).
Insomma, l’idea è senz’altro buona, ma i problemi che sono stati evidenziati in questi anni in relazione alle “smart gun” restano comunque sul tappeto.