Con sentenza n. 30367 del 12 luglio 2023 (udienza del 31 marzo), la sezione I penale della corte di Cassazione è tornata a occuparsi del concetto di efficienza o non efficienza dell’arma, perché la stessa possa essere qualificata appunto come “arma” in senso giuridico.
Nello specifico, il ricorrente era stato condannato ex art. 697 del codice penale per la detenzione senza denuncia di un revolver modello 1861 da reali carabinieri (non qualificato però nel procedimento come arma antica, bensì unicamente “di fabbricazione antecedente al 1924”). Il revolver, tuttavia, come evidenziato nel corso del procedimento, presentava guasti tali da non consentirne il funzionamento. I giudici hanno quindi accolto il ricorso, considerando che “giova preliminarmente richiamare la consolidata giurisprudenza di legittimità, a mente della quale – affinché si possa escludere la qualificazione di “arma” – è necessario che si tratti di uno strumento divenuto ormai totalmente ed irreversibilmente inefficiente. In tal caso, viene definitivamente a mancare quella situazione di pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumità, che rappresenta l’oggetto giuridico delle fattispecie in materia di armi. Allorquando invece l’arma – pur se all’attualità non funzionante – si presenti agevolmente riparabile, così potendosene ripristinare l’originaria attitudine lesiva, essa non perde la qualifica propria di “arma” (si vedano, sul punto, Sez. l, n. 3696 dei 04/02/1983, Marchesan, KV. ID0000 e Jez. l, n. 35648 del 04/07/2008, Saitta, Rv. 240677, a mente della quale: «Ai fini della configurabilità di un’arma come tale, è necessario che essa non risulti totalmente e assolutamente inefficiente, poiché solo in tal caso viene a mancare quella situazione di pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumità che costituisce la “ratio” della disciplina vigente in tema di detenzione e porto illegale di armi. Ne consegue che, l’arma non perde tale qualità solo qualora, pur essendo guasta o priva di pezzi, anche essenziali, sia comunque riparabile con pezzi di ricambio o anche con altri accorgimenti in mancanza dei pezzi originaii»; in senso conforme si sono in seguito espresse Sez. 1, n. 16638 del 27/03/2013, Farciglia, Rv. 255686; Sez. 1, n. 28796 del 04/06/2018, Contaldo, Rv. 273297; Sez. 1, n. 18218 del 06/03/2019, Romano, Rv. 275465). Nella concreta fattispecie, li Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia, come detto, ha proceduto alla riqualificazione giuridica del reato ex art. 23 della legge n. 110 del 1975, ascritto sub 1), ai sensi dell’art. 697 cod. pen. Il fatto è stato ricondotto entro tale alveo normativo, in forza dell’espressa affermazione che l’arma (un revolver calibro 10,4 mm modello 1861 e prodotta in epoca antecedente al 1924, ad azione singola e con telaio completamente aperto, adottato come arma d’ordinanza dai Carabinieri Reali nel neonato Regno d’Italia) – sebbene astrattamente funzionante – non fosse concretamente in grado di esplodere colpi. Le cartucce originariamente adoperate per il funzionamento di tale arma, stando a quanto accertato durante il processo di merito, non vengono ormai prodotte da lungo tempo, per cui non sono più disponibili. Laddove si fossero assemblate, con i materiali in commercio, delle nuove cartucce ad hoc, parimenti non sarebbe stato possibile esplodere dei colpi mediante la sopra menzionata arma. Se ne desume la completa ed irreversibile inefficienza della pistola incriminata, in relazione all’uso lesivo al quale essa era inizialmente deputata”.