Con sentenza n. 00282 del 16 ottobre, la sezione prima del Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna (sezione staccata di Parma) ha respinto il ricorso di un cittadino al quale la questura di Piacenza aveva rigettato l’istanza per il rinnovo del porto di fucile per uso caccia, in quanto sei anni prima era stato instaurato nei suoi confronti un procedimento penale (poi concluso con oblazione) per essere stato sorpreso a caccia con un fucile a canna liscia con serbatoio non ridotto ai prescritti due colpi.
I giudici hanno sul punto considerato che “Il Collegio riconosce, anche alla luce della giurisprudenza in materia (si veda T.A.R. Calabria Catanzaro, Sez. II, 17/01/2018, n. 141), l’autonomia dell’azione amministrativa rispetto al procedimento penale considerato che, nel caso specifico, l’attività di bracconaggio è stata colta e verbalizzata in flagranza e non contestata nella sua materialità dal ricorrente. Inoltre, come pocanzi rilevato, il provvedimento non si fonda esclusivamente sugli esiti del procedimento penale ma sui fatti accertati e non contestati. Conforta tale assunto anche la recente pronuncia del Consiglio di Stato n. 8233 del 22 dicembre 2020 in cui si precisa che “l’autonomia delle valutazioni effettuate in sede amministrativa dalla P.A. rispetto a quelle del giudice penale, in uno con l’autonomia dei complessi normativi (da un lato gli artt. 10 e segg. T.U.L.P.S., dall’altro gli art. 30 e 32 della L. n. 157 del 1992), giustificano ad avviso del Collegio la valutazione operata dalla P.A. circa l’abuso delle armi commesso dal sig. -OMISSIS-, pur in presenza di un giudizio penale conclusosi con l’oblazione”. Il Consiglio di Stato, inoltre, rimarca il principio del doppio binario approfondendo l’esegesi della normativa venatoria rispetto ai provvedimenti previsti dal TULPS evidenziando che sussiste tra le predette norme una “specialità reciproca” (cfr. anche Sez. III, 22/12/2022, n. 11189) tale che la prima tipizza le sanzioni amministrative accessorie in quanto formulate in un contesto normativo di disciplina specialistica dell’attività venatoria mentre la seconda affida alla discrezionalità amministrativa la ponderazione “prudenziale” della fattispecie a tutela dell’interesse alla sicurezza ed incolumità pubblica”.
I giudici hanno anche considerato che “L’amministrazione resistente in proposito deduce che i mezzi utilizzati, acclarati e non contestati, come sostenuto nel provvedimento impugnato, costituiscono attività di rilevanza penale che viola “una delle basilari ed elementari norme che regolarmente viene insegnata agli aspiranti cacciatori che, al termine della frequenza di un corso di formazione finalizzato ad ottenere l’abilitazione all’esercizio venatorio, sostengono un esame finale periodicamente organizzato e tenuto gratuitamente dalla Regione Emilia-Romagna”. Il provvedimento, inoltre, articola la motivazione in plurime considerazioni della rilevanza e gravità dei fatti contestati sotto il profilo dell’affidabilità del detentore di armi che “deve essere persona assolutamente esente da mende o da indizi negativi”.
I giudici hanno quindi concluso che “il diniego risulta adeguatamente motivato in punto di giudizio di affidabilità che non può ritenersi sussistente a fronte di una tale grave violazione della normativa venatoria e dell’eccezionalità delle deroghe all’uso delle armi. E ciò è tanto più vero se si tiene conto del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in termini generali, l’Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di “non affidabilità” del titolare del porto d’armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla “buona condotta” dell’interessato, per non rendersi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell’utilizzo delle armi, in quanto l’Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità d’abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell’interessato, purché l’apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo, trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell’uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (cfr, ex multis, Consiglio di Stato, Sez. III, 28/12/2022 n. 11474)”.