Uno dei temi che periodicamente scatenano i timori degli appassionati e diatribe senza fine, tra gli stessi appassionati o anche tra professionisti del settore (armerie, direttori di tiro dei Tsn eccetera) è quello relativo all’assenza dei marchi di un banco di prova riconosciuto a norma Cip da parte di alcune armi Ex ordinanza, che sono in circolazione nel nostro Paese. Parliamo, nello specifico, di quelle armi Ex ordinanza che sono state regolarizzate dopo rinvenimento (il nostro Paese, essendo stato teatro di entrambi i conflitti mondiali, ancora oggi è ricco di cimeli di questo genere disseminati sul territorio) oppure che sono state cedute ai collezionisti da parte degli arsenali dell’esercito (Pmal Terni) o della marina (Taranto). In particolare ci si chiede se, una volta che si desiderasse provarle al tiro, sia necessario e obbligatorio per legge sottoporre tali armi al collaudo da parte del Banco di prova e se questa prassi sia necessaria anche per tenere le suddette armi nella semplice denuncia ex articolo 38 Tulps piuttosto che in licenza di collezione armi comuni da sparo.
La materia relativa agli obblighi di sottoposizione delle armi al collaudo da parte del Banco nazionale di prova è regolata da alcune disposizioni di legge, in particolare dalla legge 23 febbraio 1960, n. 186, che ha modificato il regio decreto legge 30 dicembre 1923, n. 3152 sull’obbligatorietà della punzonatura delle armi da fuoco portatili.
In particolare, l’articolo 1 specifica che “le armi da fuoco portatili di qualunque calibro e dimensione fabbricate in Italia, regolamentari nazionali o straniere, allestite a nuovo o modificate ad uso caccia da ditte private e per la vendita a privati, debbono essere sottoposte alla prova del Banco nazionale di prova di Gardone Val Trompia (Brescia) istituito con regio decreto 3 febbraio 1910, n. 20, modificato con regio decreto 15 novembre 1925, o di sua sezione che dovesse eventualmente costituirsi in altra località”.
L’articolo 7 invece specifica che “le disposizioni della presente legge non si applicano alle armi prodotte da stabilimenti militari o da privati per conto delle forze armate e dei corpi armati dello Stato, nonché alle armi importate dall’estero per le forze armate e i corpi armati dello Stato ovvero destinate a forze armate estere e fabbricate sotto il controllo di enti tecnici delle forze armate o dello Stato richiedente”.
Dal combinato disposto di questi due articoli si evince che le armi ex militari non erano tenute in origine alla bancatura, nella misura in cui fossero state destinate all’impiego da parte delle forze armate o dei corpi armati dello Stato, ma anche che tale obbligo sopravviene a posteriori solo nella misura in cui tali armi, una volta immesse sul mercato civile, siano “allestite a nuovo o modificate ad uso caccia da ditte private e per la vendita a privati”. Ciò perché, in sostanza, il cosiddetto “allestimento a nuovo” e la modifica a uso caccia (cosiddetta “sporterizzazione”) prevedono operazioni che possono andare a modificare le caratteristiche fisiche dell’arma e nello specifico della canna e, conseguentemente, occorre verificare che continuino a persistere le necessarie condizioni di sicurezza d’uso.
L’arsenale di Terni (Pmal) ha a suo tempo messo a punto un protocollo di cessione delle armi ex ordinanza ai privati che prevede l’obbligo, per gli acquirenti, di essere in possesso di licenza di collezione armi comuni da sparo e di inserire le suddette armi (all’atto del ritiro) nella licenza di collezione. Questo perché l’ente pubblico non intende assumersi la responsabilità circa le condizioni di conservazione delle armi e la loro idoneità, o non idoneità, all’impiego a fuoco in poligono. Per giustificare questo protocollo di cessione, l’ente in questione sfrutta l’ulteriore deroga all’obbligo di bancatura prevista dall’articolo 21 del dpr 28 ottobre 1964 n. 1612, il quale prevede che “le disposizioni della legge 23 febbraio 1960, n. 186, non si applicano alle armi destinate a collezioni e musei”. Si tratta, tuttavia, di una ridondanza, atteso il fatto che la legge n. 186/60 in questione già esenta, come abbiamo visto, le armi ex militari dall’obbligo di bancatura, nel momento in cui non risultino modificate rispetto alle loro condizioni originali. Basterebbe, conseguentemente, per il Pmal specificare che le armi vengono cedute nello stato di fatto nel quale si trovano e che qualsiasi impiego a fuoco, senza previa verifica da parte di personale qualificato, sia a rischio e pericolo dell’acquirente. Occorre a tal proposito ricordare che il decreto legislativo 104 del 2018 (articolo 5) consente anche “prove di funzionamento” a fuoco in poligono delle armi detenute in collezione, con intervallo non inferiore a 6 mesi e l’impiego, per ciascuna sessione di tiro, al massimo di 62 cartucce, senza peraltro in alcun modo prevedere l’obbligo di provvedere al collaudo al Banco di prova prima delle “prove” in questione.
Da tutta questa premessa si evince che la detenzione di armi ex ordinanza rinvenute sul territorio nazionale o cedute dagli arsenali militari italiani, sprovviste del punzone del Banco nazionale di prova, è del tutto legittima non solo in capo a chi sia munito di licenza di collezione per armi comuni da sparo, ma anche semplicemente in forza della sola denuncia ex art. 38 Tulps, e altrettanto legittimo è anche il loro impiego a fuoco senza previo collaudo da parte del Banco medesimo. Occorre tuttavia aggiungere, a tal proposito, che seppur non obbligatorio, il collaudo da parte del Banco di prova prima di utilizzare un’arma ex ordinanza rinvenuta o ceduta da un arsenale militare è sicuramente consigliabile sotto il profilo della sicurezza.