Il caso di Emanuele Pozzolo, il deputato di Fratelli d’Italia (attualmente sospeso dal partito) che lo scorso Capodanno portò a una festa un suo revolver dal quale partì accidentalmente un colpo, tra remissione della querela per l’accusa di lesioni, oblazione per omessa custodia di armi ed esplosioni pericolose, si trova rinviato a giudizio per due fattispecie di reato, che sarebbero (in base a quanto esplicitato dagli organi di informazione) porto abusivo di armi e, soprattutto, porto illegale di munizioni da guerra.
Si tratta tuttavia di accuse che, rispetto a quanto finora noto circa la dinamica dei fatti svoltisi lo scorso Capodanno, sembrano abbastanza incoerenti e distopiche da un punto di vista strettamente tecnico-giuridico. O quantomeno, sono apparse incoerenti a molti appassionati, che di conseguenza ci hanno fatto svariate domande al riguardo.
Fermo restando, ovviamente, che i processi si fanno in tribunale e non tramite gli organi di informazione, ci permettiamo alcune osservazioni tecniche, sempre anteponendo il fatto che le nostre informazioni derivano da quanto pubblicato a suo tempo dagli organi di informazione e non dalla lettura delle carte dell’inchiesta.
Il porto abusivo dell’arma
Per quanto riguarda la fattispecie del porto abusivo dell’arma, la fattispecie sarebbe contemplata dall’articolo 699 del codice penale, il quale recita: “Chiunque, senza la licenza dell’Autorità, quando la licenza è richiesta, porta un’arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, è punito con l’arresto fino a sei mesi” e aggiunge che “Se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti è commesso in un luogo ove sia concorso o adunanza di persone, o di notte in un luogo abitato, le pene sono aumentate”.
Qui tuttavia il problema, se così lo vogliamo chiamare, è che Pozzolo la licenza l’aveva: era infatti in possesso del porto di pistola per difesa personale. Molto probabilmente ciò che gli viene contestato è quello di aver portato addosso, carica (quindi effettivamente “portato” e non “trasportato”) una pistola che, essendo iscritta sulla licenza di collezione, sarebbe proibito portare anche a coloro i quali siano in possesso della specifica licenza. Il divieto di porto delle armi in collezione, tuttavia, non è stabilito né dalla legge 110/75 né da specifiche disposizioni del Tulps o di altre leggi concernenti le armi, quanto piuttosto è una prescrizione che viene apposta sulla licenza di collezione da parte delle questure, nell’ambito dei poteri di discrezionalità conferiti dall’articolo 9 del Tulps. La conseguenza è che il mancato rispetto di una delle prescrizioni sulla licenza comporterebbe, oltre alla possibilità di ritiro delle licenze da parte dell’autorità di pubblica sicurezza (come previsto dall’articolo 10 Tulps), la pena prevista eventualmente dall’articolo 17 del Tulps, che è l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a quattrocentomila delle vecchie lire, ma di certo non la fattispecie prevista dall’articolo 699 del codice penale.
Le munizioni da guerra
Ancora più singolare appare l’accusa di porto abusivo di munizioni da guerra (previsto e punito dall’articolo 4 della legge 895 del 1967): se, come sembra, l’arma protagonista suo malgrado di tutta la vicenda era un revolver in calibro .22 long rifle, l’unica ipotesi per la quale sia stato possibile ipotizzare (perdonate il gioco di parole) che si tratti di “munizione da guerra” è che sia stato riscontrato che le cartucce inserite nel tamburo fossero di tipo espansivo (cioè a punta cava), facendo tuttavia una certa confusione tra le “munizioni da guerra” in quanto tali e le munizioni non consentite per la difesa personale.
Procediamo con ordine: le munizioni “ad espansione” sono citate nell’articolo 2 della legge 110/75: “Le munizioni a palla destinate alle armi da sparo comuni non possono comunque essere costituite con pallottole a nucleo perforante, traccianti, incendiarie, a carica esplosiva, ad espansione, autopropellenti, né possono essere tali da emettere sostanze stupefacenti, tossiche o corrosive”. Questo però significa solo che, per l’appunto, non possono essere impiegate nelle armi comuni da sparo, ma non significa necessariamente che per questo siano “da guerra”. L’inserimento delle cartucce “ad espansione” tra quelle vietate nell’articolo 2 della legge 110/75 è avvenuto con dal decreto n°306/92 (convertito in legge 356/92). Occorre tuttavia prestare attenzione al fatto che una specifica circolare telegrafica del ministero dell’Interno, a poche ore di distanza dall’entrata in vigore dei provvedimenti in questione (559/C.11764.10171 (1) del 17 giugno 1992), si premurò di specificare che “il divieto produzione e uso del munizionamento a carica espansiva deve ritenersi, alla luce della direttiva comunitaria datata 18.6.1991, non riferita alle munizioni destinate alle armi da caccia o tiro al bersaglio”. E infatti, risultano comunemente in vendita nelle armerie italiane munizioni “ad espansione” sia nei calibri per pistola, sia per carabina, che possono legittimamente essere impiegate per la caccia e il tiro sportivo (e sono impiegate, ogni anno, da alcun decine se non centinaia di migliaia di legali detentori di armi). Appare difficile coniugare il concetto di acquistabilità legale in armeria con il concetto di “munizione da guerra” che, lo ricordiamo, è esplicitato dall’articolo 1 della legge 110/75: “Sono munizioni da guerra le cartucce e i relativi bossoli, i proiettili o parti di essi destinati al caricamento delle armi da guerra”. Per queste non esiste alcuna deroga di acquisto e detenzione da parte dei privati, per nessuna ragione. Al di là del fatto che non risulta un impiego operativo bellico presso alcun Paese noto al mondo del calibro .22 long rifle, c’è l’ulteriore paradosso che i proiettili “espansivi” o “ad espansione” che dir si voglia, sono stati banditi proprio per l’impiego militare dalla convenzione dell’Aia del 1899 (sì, avete capito bene, 125 anni or sono).
Un eventuale mancato rispetto del divieto di porto per difesa personale dei proiettili “ad espansione”, quindi, paradossalmente avrebbe come conseguenza diretta la revoca della licenza di porto d’armi per “abuso da parte del titolare” secondo quanto previsto dall’articolo 10 della legge 110/75, ma non sembra avere una qualsivoglia specifica sanzione penale.
Intendiamoci…
Non ci interessa fare i difensori d’ufficio del deputato Pozzolo: la sua condotta è stata quantomeno gravemente imprudente, questo l’abbiamo detto in tempi non sospetti e non cambiamo di certo idea. Chi ci segue sa quanto negli anni abbiamo cercato di spenderci nei confronti dell’impiego responsabile delle armi legalmente detenute.
Tuttavia, altrettanto ci piacerebbe che un cittadino (chiunque esso sia, dai deputati di Montecitorio al più umile dei lavoratori) pagasse per ciò che ha fatto effettivamente, e non per qualcosa d’altro che ha ben poca attinenza con l’accaduto.