Il mercato dei ghepardi

Dopo lo scempio degli elefanti, il Kenya vive anche quello dei ghepardi: i cuccioli vengono “rubati” per accontentare ricchi collezionisti nell’area del Golfo persico. L’ennesima dimostrazione dell’incapacità di sorveglianza del territorio da parte delle autorità

Il ghepardo, splendido predatore africano, presenta spesso un comportamento molto diverso rispetto ai suoi simili, come leopardi o leoni. Se catturato da cucciolo o fatto nascere in cattività, innanzi tutto, è uno dei pochi grandi felini a essere completamente addomesticabile. Proprio per questo è particolarmente gradito a persone molto ricche che, al pari di un gatto di casa, si beano dell’averlo accanto e magari ricevere i loro ospiti accompagnati da simile animale. Per questo il Conservancy Biology Journal ha reso noto un losco traffico illegale, proprio di ghepardi, principalmente (per il 95%) dal Kenya. Lo stesso Stato che, a detta dei soliti noti deve, o doveva, rappresentare un icona salva animali dopo la chiusura della caccia nel 1976, che avvenne sotto spinta principalmente di Wwf e company. Da allora il controllo della fauna in questa terra lo fanno, con molto rigore (perdonate l’ironia…), bracconieri e gruppi terroristici che ricavano introiti da corni di rinoceronti e avorio degli elefanti. Chi frequenta e conosce l’Africa lo sa, gli unici a non saperlo sono quelli che millantano competenze animalistico-ambientali fondate sull’esperienza di scorrazzamento in safari pseudofotografici o che sbandierano titoli di guide africane molto tiktokkate sui social.

Il vice direttore del Kenya Wildflife Service, John Waithaka, ha dichiarato: “Il nostro Paese ha perso molta fauna selvatica, di conseguenza dobbiamo fare tutto il possibile per conservare il suo habitat. Secondo un recente studio, negli ultimi 40 anni abbiamo perso l’ottanta per cento di alcune specie. Questo è il motivo per cui qualsiasi metodo che possiamo usare per ripristinare i nostri habitat per conservare la nostra fauna selvatica sono i benvenuti”.

È per questo che da un po’ si sta cominciando a riprendere in considerazione la riapertura di riserve private per la caccia, viste come un deterrente al bracconaggio e al contrabbando di animali e come forma di finanziamento per la conservazione, come peraltro avviene in altri Stati. Alla faccia dei millantati “santuari”, i territori africani sono immensi ma altrettanto immense sono le possibilità di sottrarsi alla legge commettendo reati nei confronti della fauna. I territori abbandonati a se stessi, o marginalmente toccati da una sorveglianza di facciata, sono impossibili da gestire se non a prezzo di moltissimi soldi che le nazioni africane non hanno. Mettiamoci poi che molti governi sono sempre guidati da dittatori di turno con giacca e cravatta, dopo aver tolto la mimetica, e lo scempio è fatto. Il Kenya che conoscevamo come una terra ricchissima e bellissima dove la Natura veniva gestita è ormai un lontano ricordo e questo scempio è stato perpetrato dando retta a coloro che vivono per “caccia no”. Tornando ai ghepardi sottratti in Kenya, i mercati di riferimento sono Paesi come Kuwait, Qatar, Arabia Saudita e Yemen. Il traffico è gestito attraverso la Somalia, dove confluiscono i ghepardi sottratti sapendo già che ci sono “grossisti” che li attendono con i soldi in mano. Naturalmente gli animali sopravvissuti a questi spostamenti sono pochissimi: come tutte le specie importate illegalmente molti muoiono per denutrizione e stress da cattura. Come facciano a passare le dogane è altamente risaputo: si chiama corruzione, visto che si parla per un solo esemplare di decine e decine di migliaia di euro. Ultimamente l’India aveva avviato un progetto di inserimento di ghepardi provenienti dall’Africa nei propri parchi. Chissà se qualche sapientone abbia contemplato che passare dal clima africano caldo-secco con notti freddissime a quello indiano, caldo-torrido con umidità elevatissima e notti ancora più calde e umide, sarebbe stato un problema per gli animali. I risultati comunque hanno parlato da soli. Quasi tutti morti.