Nei recenti conflitti di Libia e Siria, un ruolo centrale è ricoperto dagli Ucav. Per non parlare dell’attacco al sito della Aramco in Arabia Saudita.
Negli ultimi tempi, lo sviluppo e la diffusione degli Ucav – Unmanned combat aerial vehicle (velivoli a pilotaggio remoto da combattimento) ha dimostrato, ancora più nei recenti conflitti, di essere una tendenza e una realtà non solo assodata ma in grado di condizionare conflitti, politiche e strategie future. Vediamo perché e aggiungiamo qualche riflessione.
Perché questa diffusione: i motivi sono svariati, ma il principale è che le tecnologie per realizzare gli Ucav (almeno quelli meno complessi e con più limitata autonomia) sono relativamente semplici e alla portata di moltissime Nazioni. Gli Ucav sono poi passati da un ruolo inizialmente di ricognizione, a quello di attacco. La loro relativa semplicità costruttiva poi, equivale a costi relativamente economici rendendoli alla portata di molti. Intuitivamente ancora, non avendo la necessità di avere a bordo un pilota, i rischi inerenti la perdita di personale militare sono annullati.
Senza dimenticare comunque, le loro capacità di ricognizione aerea o Istar (Intelligence, surveillance, target acquisition and reconnaissance) in tempo reale: cosa che consente rapide decisioni sul campo di battaglia. Gli Uav sono in grado di scoprire dall’alto spostamenti e linee di attacco delle forze avversarie, come la consistenza e il dispiegamento di queste, identificare bersagli e addirittura, “designarli” per armi a guida laser di altre componenti di forza. La “flessibilità” degli Ucav dunque, è una ulteriore caratteristica che li rende preziose, valide ed economiche risorse.
Nella realtà, gli Ucav si distinguono in diverse categorie, non solo per pesi e dimensioni e di conseguenza, autonomia (dai Mini Ucav a quelli strategici definiti Male – Medium-altitude long-endurance unmanned aerial vehicle), ma anche per funzionalità, possono essere infatti riutilizzabili o “spendibili”. Ultimamente poi, è apparsa una nuova categoria (o sotto categoria per altri) in espansione quasi geometrica, ossia quella dei droni “Kamikaze” o “Munizioni circuitanti” (Loitering munitions). Droni con un biglietto di sola andata, in pratica munizioni “volanti” in grado di colpire un bersaglio noto o improvviso oppure, capaci di circuitare in aria in attesa di un bersaglio di opportunità scoperto in volo. E come tutti gli altri Uav, hanno pesi e dimensioni variabili anche se non raggiungono, generalmente, dimensioni importanti: quando le raggiungono, diventano in pratica dei “cruise” ma più economici. Come nel caso dell’attacco ai siti dell’Aramco in Arabia Saudita: i droni Houti “kamikaze” (Samad), con una autonomia superiore ai 1.000 chilometri. A questo punto aggiungiamo qualche ulteriore differenziazione: vi sono Ucav destinati unicamente alla ricognizione, altri capaci di ricognizione ma armati infine, le “Loitering munitions”.
Quali le nazioni leader nel settore Ucav: dopo gli Usa e Israele, la Cina, Iran e ultimamente, la Turchia. La Russia, inizialmente in ritardo in questa area, sta cercando di recuperare velocemente. Gli Uae (Emirati Arabi Uniti) stanno celermente ampliando le loro linee di Ucav. L’Europa ha disponibilità di Ucav ma non armati, vi sono programmi in corso ma non ancora completati. Solo la Polonia al momento, ha sviluppato autonomamente una famiglia di “loitering munitions” (Warmate, nella foto sopra). Israele viceversa, è in assoluto la Nazione che ha più sviluppato non solo gli Ucav ma anche le “loitering munitions”.
E l’Italia? Da Leonardo una buona gamma di Uav/Ucav con alcuni teoricamente, pronti all’utilizzo come Ucav armati ma, non abbiamo sviluppato le armi adatte a queste: nel caso, bisognerebbe rivolgersi agli Usa cosa che prevede comunque, una autorizzazione da parte loro e quindi, una dipendenza politica. Vero è che parte di questi armamenti sono disponibili dalla Mbda (Brimstone e Viper-E) multinazionale e colosso europeo della missilistica, compartecipata dalla Leonardo al 25% ma, con le restanti e paritarie quote divise fra Airbus (consorzio franco-tedesco-spagnolo) e Bae systems (inglese). Riguardo le loitering munitions poi, l’Italia, ha un sacro terrore: essenzialmente politico.
Particolare la scelta turca che negli ultimi 10 anni, a seguito del rifiuto Usa di fornire loro i Predator, ha sviluppato una propria indipendenza nel settore strategico degli Ucav, delle munizioni per queste (come le micro munizioni Mam-L) e delle loitering munitions.
I droni turchi poi, hanno un ruolo politico e strategico nel supporto al Gna- Government of national accord di al-Sarraj contro… i droni cinesi dell’Lna Libyan national army di Haftar. Non solo, nella escalation di confronto tra Turchia e Siria e secondo alcuni analisti militari, i droni turchi hanno fatto la differenza nel cogliere alcuni importanti successi a Idlib, contro le forze di Assad appoggiate dai russi. Considerando poi che gli Ucav forniscono un immediato feedback dei loro strike con uno streaming video, le registrazioni dei loro successi opportunamente diffuse attraverso i global media, si sono dimostrate ulteriori e incredibili “bombe” mediatiche.
Gli Ucav e relative tecnologie ancillari, sono oggi strumenti più che mai rilevanti da un punto di vista strategico oltre che tattico. Vista e considerata la loro proliferazione sulla nostra “porta di casa”, sarà bene non solo investire (in fretta) ma anche, sviluppare una nostra politica in merito al loro impiego.
Nella foto di apertura: Il presidente Recep Tayyip Erdoğan, mentre firma uno dei primi droni Bayraktar sviluppati e prodotti in Turchia.
Nella foto sotto: L’Ucav turco “Male” TAI Anka con micro munizioni Mam-L.