Una norma del 2017 potrebbe cancellare il patrimonio museale armiero dell’Australia. Ma anche in Europa, se vi ricordate…
Una norma di legge, ovviamente restrittiva, in materia di armi approvata alla chetichella e nel silenzio generale dalle autorità del Nuovo Galles del Sud (Australia) nel 2017, potrebbe comportare conseguenze devastanti per il patrimonio culturale armiero australiano in queste settimane. L'appello, lanciato dalla Shooters union Australia, non lascia molto spazio alle interpretazioni: secondo la norma approvata nel 2017, infatti, anche i musei saranno obbligati a disattivare permanentemente tutte le armi automatiche, semiautomatiche o a pompa presenti nelle loro collezioni. In precedenza, la normativa consentiva ai musei di conservare funzionanti le armi che ormai appartengono a categorie off-limit per i comuni cittadini, badando solo che alcune componenti fondamentali per lo sparo (come il percussore) fossero conservate disgiuntamente dall'arma e al sicuro. In questi mesi, successivi all'approvazione della normativa "talebana" (perché mirante a distruggere definitivamente l'integrità di pezzi storici), in realtà non si è avuta alcuna conseguenza immediata, fino a quando, alcuni giorni fa, il titolare di un piccolo museo è stato arrestato per non aver provveduto alla disattivazione. Da lì, ovviamente, il panico, ma anche l'indignazione, considerando il fatto che, per esempio, il museo più importante del continente, cioè quello di Lithgow, noto in tutto il mondo per la raccolta di armi dell'esercito australiano e neozelandese dal 1912 a oggi, custode attento e geloso di prototipi unici, dovrebbe in pratica distruggere circa il 70 per cento del proprio patrimonio armiero.
Al di là del fatto che alcuni hanno fatto presente che ben poche persone pagherebbero un biglietto per vedere una serie di saldature, il che comporterebbe verosimilmente la chiusura di molti musei medio-piccoli, la questione a nostro avviso è più prettamente di tipo culturale: oggi gli studiosi sono ormai unanimi nel condannare, senza appello, le mutilazioni effettuate su statue, quadri e dipinti dell'epoca (per esempio) rinascimentale per i più disparati scopi (riutilizzo in altri ambienti, maldestri restauri eccetera) e probabilmente a nessuno sano di mente verrebbe in mente di conservare in un museo un'automobile o un aereo storici, privandoli del motore e del cruscotto. Anzi, probabilmente la sola idea sarebbe salutata da un coro di proteste indignate. Così, evidentemente, non accade con le armi da fuoco: è appena il caso di ricordare che, oltre all'illuminato governo del Nuovo Galles del Sud, agli antipodi del nostro pianeta, cioè nell'altrettanto libertaria e illuminata Unione europea, una proposta dello stesso genere era stata avanzata nella prima stesura dell'ultima direttiva sulle armi da fuoco (2017/853) e solo dopo le vibrate proteste delle associazioni culturali si è riusciti a farla eliminare dal testo definitivo.
Ci perdonerete se siamo più realisti del re, ma a nostro avviso anche solo aver proposto una cosa del genere è indicativo di una forma mentis estremamente pericolosa da parte dei nostri rappresentanti europei: cioè che la storia e la tecnologia armiera non siano argomenti che fanno parte della cultura, e quindi che non meritino di essere preservati. E questo nonostante non sovvenga, a memoria d'uomo, che armi trafugate dai musei siano state reimpiegate per compiere attentati o altri atti criminosi. Anzi, per la verità neanche sovviene di furti di armi (moderne) nei musei!
Proprio qui sta il problema, che dovrebbe invitarci a riflettere su quale tipo di futuro ci attenda tutti quanti (appassionati d’armi e non): quando una autorità superiore si ritiene a tal punto superiore da decidere quali testimonianze del passato meritino di essere tutelate e conservate integre per la futura memoria dei posteri e quali invece possano impunemente essere manomesse e distrutte, ci si trova di fronte a un enorme problema. Che ha molto a che vedere con il totalitarismo.