Le immagini dell’aggressione ai danni del leader tedesco di “Pax Europa”, Michael Stuerzenberger, stanno mostrando al mondo la realtà di un attacco con il coltello.
Il leader del movimento di destra (e a forte vocazione anti-Islam) è stato infatti aggredito a Mannheim durante un raduno in pubblica piazza.
Il modus operandi
Aderendo perfettamente alle linee-guida a suo tempo ribadite da Daesh sui suoi canali media (video didattici compresi), l’assalitore ha agito con un coltello di grandi dimensioni (di certo oltre 20 cm di lama) ed ha attaccato furiosamente la vittima designata, mettendo in conto il suo sacrificio, anche eventualmente nella eventualità del suicide-by-cop, ovvero l’ipotesi di essere fermato dall’impiego della forza letale da parte delle forze di sicurezza.
I first responder
A onor del vero i primissimi a intervenire, come sempre capita, sono stati i più prossimi allo scenario, verosimilmente appartenenti all’aggressione della vittima principale ma, come da anni argomentiamo da queste pagine, la furia omicida di in soggetto disposto a perdere la sua stessa vita e armato di coltello, a prescindere da una eventuale perizia tecnica nell’impiego e alla faccia di tutti i simpatici video didattici di autodifesa in circolazione sul web, non è facile da fermare, soprattutto al netto della perdita di vite umane.
L’intervento della polizia
Dalle immagini in circolazione emerge che la polizia doveva essere già presente in piazza perché, subito dopo aver respinto a fendenti il tentativo spontaneo di neutralizzazione dei cittadini presenti, l’assalitore è stato subito circondato da diversi agenti arma in pugno. E qui comincia a correre il cronometro: il tempo necessario ad affrontare il processo decisionale circa l’uso dell’arma o meno è costato ad uno degli agenti un affondo alla schiena, un tentativo di recisione delle carotidi con un secondo fendente e un estremo tentativo di affondo sempre al collo. Solo in quel momento un altro agente ha esploso i colpi che hanno neutralizzato la minaccia.
Cosa è successo?
L’agente ferito, che pare in gravi condizioni, si trovava inginocchiato, verosimilmente prestando soccorso a una vittima, ed è stato così attaccato alla schiena.
Come mai i numerosi colleghi non hanno sparato prima? Reputavano che l’atterramento dell’assalitore da parte dei civili avesse determinato la fine dello scenario emergenziale? O soffrono la stessa malattia che spesso lamentiamo parlando del nostro Paese? Già, perché l’inibizione di pochi secondi può costare vite.
In uno scenario del genere non esiste altro strumento, nella scala del force continuum, che l’arma da fuoco e questo episodio ne è stato l’ennesima dimostrazione.
La frustrazione e le inibizioni all’azione che sono stati inoculati negli operatori nel corso dei decenni hanno portato a questo: difficoltà nel dare lettura della pericolosità potenziale di uno scenario, soprattutto nella sua proiezione nei momenti/minuti successivi, capacità di adottare decisioni dure (laddove, in extrema ratio, occorra), ponderazione del rischio di non arrivare a vedere la pensione a causa di vicende giuridico-burocratiche e impiego dell’arma da fuoco sono competenze (tecniche e soprattutto non-tecniche) delle quali volutamente le nostre società hanno spogliato (e stanno spogliando) generazioni di operatori di polizia. Basta, per favore.
Cui prodest?
Ovviamente, a prescindere dalle dinamiche concrete dell’evento, l’episodio non fa che alzare l’asticella della tensione. Provocherà la rabbia ritorsiva degli ambienti di destra? Al di là del facile reperimento di qualche folle radicalizzato, è possibile una strumentalizzazione politica da parte di fazioni avversarie? Può fare il gioco della stessa parte politica che ha subito l’evento, che raccoglierà simpatie? Le elezioni europee sono alle porte, ci sarà una ricaduta da eventi come questo? Una cosa è certa. Viviamo un brutto momento, in cui tutto è brutto e niente si limita a essere come appare. Nel frattempo, a prescindere da moventi e ricadute, occhi aperti.