Abbiamo avuto notizia di un medico di base che avrebbe rifiutato di firmare il certificato anamnestico per il porto d’armi a uno dei propri assistiti, non già perché il richiedente fosse inidoneo, bensì perché il medico si è dichiarato “contro le armi”. Il medico, quindi, avrebbe in pratica esercitato una sorta di “obiezione di coscienza”, nei confronti di uno dei doveri previsti dalla propria professione.
Può farlo? O il suo atto, piuttosto, costituisce un abuso?
Partiamo dal principio: il decreto del ministero della sanità del 28 aprile 1998, che disciplina l’accertamento dell’idoneità psicofisica per il rilascio o rinnovo del porto d’armi, obbliga il richiedente a presentarsi alla visita di idoneità da parte del medico dell’Asl o del medico militare, con il certificato anamnestico rilasciato “dal medico di fiducia”. Non sono previste figure sostitutive e la ratio è evidente: il certificato anamnestico deve essere rilasciato dal medico che si presume abbia una conoscenza più approfondita della storia clinica del proprio paziente. Quindi il cittadino che voglia richiedere il porto d’armi è “costretto” a fare riferimento al proprio medico di base.
Il certificato anamnestico riveste in pratica la natura di una autocertificazione da parte del paziente che, tuttavia, deve essere controfirmata dal medico di base, il quale in quel momento svolge una funzione pubblica, in quanto il certificato medesimo riveste la qualifica di atto pubblico. La conseguenza più diretta del rifiuto al rilascio del certificato anamnestico è quindi, a nostro avviso, quella di una omissione in atti d’ufficio, perché in quel momento il medico riveste la qualifica di pubblico ufficiale.
Né tantomeno appare utilizzabile la motivazione dell’obiezione di coscienza, essendo i casi nei quali l’obiezione di coscienza possa essere validamente invocata, previsti da specifiche norme di legge (una su tutte, la legge 194/78 sull’interruzione di gravidanza) le quali norme di legge, peraltro, prevedono gli opportuni accorgimenti per garantire comunque la fruizione del servizio di pubblica assistenza. Non è al momento prevista una siffatta norma per l’attività di rilascio del certificato anamnestico da parte del medico di base.
Non si può tuttavia evitare di menzionare l’articolo 22 del codice di deontologia medica (edizione 2014), il quale stabilisce che “ Il medico può rifiutare la propria opera professionale quando vengano richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico-scientifici, a meno che il rifiuto non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona, fornendo comunque ogni utile informazione e chiarimento per consentire la fruizione della prestazione”. Va anche detto che la ratio di questo articolo del codice deontologico (la cui valenza è, tuttavia, confinata all’ambito disciplinare) sarebbe quella di riguardare una prestazione professionale in senso medico strettamente inteso, atteso il fatto che il certificato anamnestico non prevede alcuna prestazione attiva da parte del medico di base, bensì il solo riconoscimento dello stato di fatto nel quale versi il paziente. A nostro avviso, quindi, questo articolo del codice deontologico non può essere invocato dal medico che intenda rifiutarsi di firmare l’anamnestico per motivazioni ideologiche.
Il rifiuto di effettuare la certificazione anamnestica da parte del medico di base (sempre, lo si ripete, per motivi ideologici e non per inidoneità del richiedente), comporterebbe inoltre l’interruzione del rapporto di fiducia tra medico e paziente, con conseguente necessità di rassegnare il proprio incarico nei confronti dell’assistito da parte del medico, secondo quanto previsto dall’articolo 25 della legge n. 833/78, con obbligo di motivazione esplicita.
Questa facoltà non esclude a nostro avviso, tuttavia, la responsabilità penale del medico per l’omissione in atti d’ufficio.