Con sentenza n. 841 pubblicata il 25 gennaio 2023, la sezione Terza del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di un cittadino, appartenente alla polizia locale di un comune campano, il quale si era visto notificare il divieto di detenzione armi ex art. 39 Tulps perché, in occasione di una perquisizione svolta nel suo domicilio, era stato riscontrato che l’arma d’ordinanza a lui assegnata dal comando di polizia locale non fosse custodita diligentemente. Peraltro, i rilievi mossi al cittadino in sede penale, relativi alla detenzione dell’arma, erano stati ritenuti insussistenti dal giudice per l’udienza preliminare. Contro il provvedimento di divieto detenzione armi, il cittadino aveva fatto già ricorso al Tar della Campania, che lo aveva respinto. Sulla questione, i giudici del consiglio di Stato hanno confermato la decisione del Tar, precisando che “nel caso in esame, la valutazione negativa di affidabilità del soggetto circa l’uso corretto delle armi e il divieto di detenzione delle stesse è stata legittimamente ancorata a fatti che giustificano la prognosi di possibile abuso dell’arma….(omissis…). Non coglie nel segno neppure il motivo con il quale l’appellante sostiene che l’art. 39 del Tulps, riferendosi alle “armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente”, non potrebbe applicarsi a chi abbia in dotazione l’arma di ordinanza, che non necessita di essere denunciata. Merita osservare che l’Autorità prefettizia ha il potere di disporre il divieto in esame al fine di scongiurare il rischio di abuso dell’arma da parte di soggetti ritenuti inaffidabili. In questa logica, se tale è la ratio sottesa al provvedimento inibitorio in esame, è chiaro che a nulla rileva il fatto che l’appellante detenga l’arma in qualità di agente di pubblica sicurezza e che, dunque, esso non sia gravato dall’obbligo di denuncia. Da ultimo, non è suscettibile di positivo apprezzamento il motivo con il quale l’appellante censura la sentenza gravata nella misura in cui avrebbe considerato sufficienti, ai fini dello scrutinio di legittimità dell’atto, circostanze a suo dire inesistenti. Quanto all’omessa custodia dell’arma, contestata nel provvedimento inibitorio, l’appellante sostiene che l’assenza di un procedimento a suo carico per tale condotta di per sé sarebbe sufficiente a provare l’insussistenza del fatto. L’argomento non è condivisibile. Contrariamente a quanto vorrebbe l’appellante, la condotta in esame denota, per i fini che qui interessano, una negligenza grave, tale da determinare il fondato sospetto di pericolo di abuso dell’arma e ciò a prescindere da qualsivoglia accertamento in sede penale. Né il fatto, come accertato nel provvedimento gravato in prime cure, appare smentito, nella sua materialità oggettiva, dall’appellante, il quale ha confermato che l’arma è stata ritrovata conservata nella fondina, su un tavolo, sia pure in una stanza appartata e non a vista. Tali elementi fattuali, unitamente alla circostanza incontestata per cui l’arma in questione aveva il caricatore inserito, dimostrano l’inosservanza delle normali accortezze previste dalla normativa in materia di armi. Pertanto, tenuto conto della natura precauzionale e non sanzionatoria del divieto di detenere armi, l’Amministrazione ha concluso nel senso dell’insussistenza dei requisiti di sicura affidabilità richiesti dalla legge, secondo una prognosi inferenziale che appare immune dalle prospettate censure”.