Nei drammatici mesi della guerra civile, l’Armaguerra di Cremona produsse un ridottissimo quantitativo di Beretta 35 su licenza. Sono tra le pistole italiane più rare, questa è la loro storia
Di Ugo Menchini
Il mago Merlino e la strega Nocciola avrebbero qualche difficoltà a trasformare le banane in fucili. Al contrario, questo non fu affatto impossibile per i politici degli anni Trenta, capaci (anche ora) di ben altri sortilegi. Quando il commercio delle banane, provenienti dalle nostre colonie, divenne sufficientemente lucroso, lo Stato pensò bene di appropriarsene, dichiarando questo frutto genere di monopolio e continuando in tal modo una consuetudine che ha sempre riguardato i generi di largo consumo, dal sale al tabacco. Fino al 1937 l’importazione era gestita dalla Società anonima banane italiane (Sabi), con sede a Genova e di proprietà del commendator Francesco Nasturzio e dell’avvocato Adriano Montano.
Ai due soci fu proposto, in cambio, di fondare una nuova impresa che si occupasse della fabbricazione di armi. Il regime del periodo sapeva essere convincente, anche perché certamente si disse interessato all’acquisto del nuovo prodotto.
Gino Revelli, figlio d’arte di Abiel Bethel, ben noto per aver progettato diverse armi, poi adottate, all’inizio del secolo, entrò a far parte della nuova società che prese il nome di Società anonima Revelli manifattura Armiguerra Genova, con indirizzo telegrafico “Armaguerra”.
Si dice che il cremonese Roberto Farinacci, fascista piuttosto potente, si sia interessato per spostare nella propria città la nuova industria. Di fatto l’attività di quella che nel frattempo aveva assunto il nome di Armaguerra, si trasferì a Cremona, con l’intento di cominciare la fabbricazione del fucile semiautomatico modello 1939, che era stato preferito, i maligni dicono con un altro colpo di bacchetta magica, ai concorrenti presentati da Alfredo Scotti e dalle Officine Breda. L’impianto della linea di produzione, iniziato nel 1940, andò a rilento, tanto che furono fabbricate solo poche decine di fucili semiautomatici. La guerra modificò i piani per cui fu deciso di ripiegare sui più convenzionali fucili modello ’91: più precisamente il modello 91/41, di cui l’azienda cominciò a consegnare i primi esemplari finiti solo nel 1942 e arrivando ad assemblare gli ultimi pezzi sotto controllo tedesco nel tardo 1943 con un totale prodotto di circa 250 mila esemplari.
Immediatamente dopo l’armistizio dell’8 settembre tra l’Italia e gli Alleati, i tedeschi reagirono duramente, comportandosi come un esercito di occupazione e anche l’Armaguerra, dichiarata “fabbrica protetta”, dovette soddisfare le loro necessità.Già il 9 novembre 1943 anche la Beretta fu dichiarata “fabbrica protetta” in quanto ritenuta anch’essa essenziale per supportare lo sforzo bellico tedesco. Una delle conseguenze fu che nello stabilimento si insediò un gruppo di militari germanici con compiti di controllo e con l’incarico di aumentare la produzione modificando i processi industriali, sull’esempio di quelli adottati in Germania. Ciò comportava il decentramento della fabbricazione di molte componenti, anche importanti, appaltata a ditte esterne. Già all’inizio del 1944 alla ditta Gnutti era stata affidata la forgiatura dei fusti delle pistole e alla Fna la realizzazione delle canne in 7,65 mm. Altri particolari minori erano prodotti da diverse altre aziende, soprattutto localizzate nel bresciano, come la Rocca di Lumezzane incaricata dei grilletti e delle leve di sgancio dei caricatori.
Una commessa per 150.000 di pistole 1935 fu stabilita dall’Oberkommando des Heeres (Okh) il 7 marzo 1944. Il numero era molto elevato, tale da andare oltre alle capacità produttive della sola Beretta. Il 14 aprile fu organizzata dai tedeschi una riunione alla quale parteciparono anche la Fna e l’Armaguerra: il verbale inviato, ovviamente, anche all’Okh, recita: ”Fornitura pistole cal. 7,65. A conferma della riunione tenuta presso l’Armaguerra il giorno 8 corrente si precisano gli accordi presi:
1°) Le richieste per i materiali necessari per l’intera commessa di 150.000 pistole, verranno inoltrate a cura della S.A. Armaguerra, sulla base della tabella aggiornata consegnata dalla Beretta.
2°) L’intera produzione di canne di pistola della F.N.A. passerà all’Armaguerra; La F.N.A. sarà quindi subfornitrice dell’Armaguerra per questo particolare e riceverà da questa il materiale necessario: quello anticipato da Beretta per permettere l’inizio della lavorazione deve considerarsi in prestito e sarà restituito al più presto.
3°) La leva di grilletto e la bilancia saranno prodotte dalla F.N.A. per l’Armaguerra, cioè per n. 150.000 serie con un massimo di 15.000 serie al mese; anche per questi due particolari la F.N.A. riceverà il materiale necessario dall’Armaguerra. Beretta anticiperà a titolo di prestito Kg 100 circa di nastro per permettere l’inizio del lavoro. Per la propria commessa Beretta continuerà a produrre direttamente questi due particolari.
4°) Le piastrine del fondello del caricatore, data la estrema semplicità del pezzo, è bene siano prodotte da chi monta i caricatori: poiché sono in corso trattative per la sub-fornitura dell’intero fabbisogno di caricatori, si chiede all’ F.N.A. di rinunciare a questo particolare.
5°) Si chiede alla F.N.A. di esaminare la possibilità di esaminare la produzione di n. 15+20.000 cani per pistola al mese poiché Beretta ha qualche difficoltà a garantire l’intero fabbisogno e non sembra opportuno affidare questo particolare ad officine di secondaria importanza.
6°) Gli altri particolari saranno forniti integralmente dalla Beretta e dai sub-fornitori di questa che prenderanno al più presto contatto con l’Armaguerra: si conferma che la Beretta eserciterà sui sub-fornitori proposti, oltre che il controllo dei prezzi e del fabbisogno di materie prime, anche il controllo tecnico ed effettuerà nel limite delle proprie possibilità, un collaudo preliminare dei pezzi destinati all’Armaguerra, senza una diretta responsabilità in merito”.
In questa riunione fu, quindi, deciso che anche l’Armaguerra avrebbe prodotto una parte delle 1935. Per la cronaca, le principali aziende coinvolte nelle forniture erano: la Gnutti di Lumezzane per la forgiatura dei fusti; Cardini di Omegna per i caricatori (dei quali aveva brevettato lo stampaggio del fondello già nel 1942); Rocca di Lumezzane-Pieve per i grilletti e i ganci caricatore; la Fiav di Milano per le tacche di mira e i ganci del caricatore; la Zacchi di Milano per i percussori; la Bonomi di Inzino per le aste guidamolla; la Ave di Vestone e la Bosio di Marcheno per le guancette; la Società anonima Rejna di Jerago (Va) per i foderi.
Non era facile, però, organizzare una nuova linea di produzione da parte di una industria, come l’Armaguerra, che fino ad allora aveva fabbricato altri tipi di armi, prevalentemente fucili mod. 91. Ancora alla fine di agosto si stavano perfezionando le prime esperienze come risulta da una lettera del 28 del mese: “abbiamo preso nota che avete messo a punto la lavorazione dei percussori” e da un’altra con la stessa data inerente all’otturatore per pistola e all’estrattore: “Vi inviamo una nuova copia dei disegni relativi ai pezzi in oggetto, nei quali è stata variata la quota di interasse tra il pezzo dell’estrattore e la molla dello stesso. ciò sanziona quanto è in atto da tempo in lavorazione, mentre non era ancora stato registrato nel disegno. In merito alla telefonata odierna del Vs. Ing. Delleani confermiamo che, in mancanza d’altro, si può usare l’Aq. 34 per gli otturatori purché il trattamento di cementazione e tempera sia fatto adeguatamente”. Questi consigli, che svelavano anche accorgimenti di fabbricazione, dimostrano che la Beretta aveva con l’Armaguerra rapporti decisamente migliori che con la Fna. Anche in una lettera del 16 settembre si svelano alcune metodiche che con altri interlocutori (appunto l’Fna) sarebbero state taciute: ”Abbiamo completato il contorno dei fusti da voi iniziati le differenze tra il disegno e la nostra esecuzione corrente risultano minime e comunque senza pratica importanza per l’impiego. Potete quindi proseguire senza preoccupazioni per questo punto; quel che sembra invece consigliabile è un maggior soprametallo sull’intero contorno, per tener conto di eventuali deformazioni del fusto durante la lavorazione”.
Ancora il 27 ottobre 1944 fu suggerita all’Ing. Delleani la Bosio per le guancette. Anche per i rulli delle scritte sul carrello intervenne la Beretta: ”I rulli li ho passati a un artigiano locale che provvederà a scriverVi con proprio preventivo”. In realtà questo rapporto con l’incisore non ci fu, poiché le scritte non sono rullate, ma, probabilmente, eseguite con l’acido. Le 1935 coeve fabbricate dalla Beretta non hanno alcuna scritta, segno che l’incisore non era disponibile per qualche motivo che non conosciamo. Anche le matricole sul fusto e sull’otturatore sono punzonate a mano e, per questo, poco allineate. La canna ha il punzone dell’Fna sul lato destro, esistono canne che portano anche la matricola sul medesimo lato, altre invece non portano la matricola.
Nel frattempo si stavano ultimando i preparativi per l’inizio della produzione. Il 27 ottobre si ha notizia che la Gnutti aveva pronti 3.357 fusti per la Beretta e 6.000 per l’Armaguerra. Il 7 novembre fu spedita da Gardone una serie di parti di pistola evidentemente mancanti, come gli espulsori. Al 12 dicembre si parla ancora di “periodo di avviamento”. La produzione di 1935 a Cremona, se era cominciata, stava andando a rilento e con scarsa convinzione poiché in una lettera del 22 dicembre che ha per oggetto “Stralcio di lavorazione pistola” la Beretta si dice disponibile a ritirare 12.000 fusti giacenti presso la ditta Gnutti e i pezzi greggi e semilavorati che si trovavano a Cremona o presso i subfornitori dell’Armaguerra. Evidentemente l’Okh stava premendo perché a Gardone si assumessero una maggior quota di pistole per l’esecuzione dell’ordine di 150.000. L’ultima lettera indirizzata a Cremona è del 15 marzo 1945 ed è inerente all’asta porta molla del cane.
Che l’Armaguerra avesse cessato di produrre le pistole al momento del trasferimento fuori dalla città minacciata dagli Alleati, si deduce dalla lettera inviata dalla Beretta alla Fna il 24 marzo e caratterizzata dai soliti toni polemici: “Noi non Vi abbiamo passato nessuna ordinazione di canne per pistola, le quali ci sono temporaneamente assegnate in seguito al trasferimento dell’Armaguerra”. Segue il punto di vista della Beretta su chi le doveva pagare, dato che il committente era l’Okh. Al di la della discussione sui soldi, emerge che i tedeschi avevano deciso di incaricare solo Gardone dell’espletamento del contratto. Facendo un po’ di conti è molto probabile che la produzione delle 1935 a Cremona sia iniziata non prima della fine di dicembre 1944 e sia terminata molto precocemente, anche come conseguenza del trasferimento delle macchine nelle gallerie del Garda e della sede a Vipiteno. Le scritte sul carrello riportano tutte la data 1944, ma questo non significa necessariamente che tutte le pistole siano state fabbricate in quell’anno.
A febbraio si incrementarono, invece, le discussioni con la Fna su chi dovesse pagare le parti di arma da lei prodotte. Ciò può significare che l’Armaguerra non era più in grado di ricevere le componenti delle pistole, anche se già pronte. Tutto ciò conferma che il periodo di produzione della 1935 fu molto breve, limitato forse a meno di due mesi e con tutte le problematiche di messa a regime degli impianti. Questo può spiegare il numero esiguo delle armi fabbricate, un quantitativo che la Beretta era in grado di realizzare in poche ore.
Gli esemplari conosciuti hanno tutti una matricolazione di tipo tedesco che inizia con la lettera “G” seguita da 5 numeri partendo, probabilmente, da G00001. Nessuna delle poche pistole reperibili, anche cercando in rete, arriva a G00400.
Un’ulteriore conferma della limitatissima produzione cremonese della modello 1935, la troviamo una lettera del luglio 1945 diretta alla Fna con il consuntivo della fornitura di canne ricevuta: ”Totale canne consegnate a tutto il 19/4/45 n° 42.972 – Rifiutate al collaudo e restituite n° 9.447 (da cui risultano 33.525 accettate). Collaudate per conto dell’Armaguerra e consegnate alla stessa n° 870”. È quindi assodato che nella migliore delle ipotesi le 1935 fabbricate a Cremona non superarono le 870, ma questa cifra non sembra sia stata raggiunta per la mancanza di altre parti fondamentali come gli otturatori. Le armi che ho avuto modo di vedere personalmente presentano tutte ottime condizioni di conservazione, compatibilmente con un livello di finitura sempre assai approssimativo. È molto probabile che i destinatari non abbiano mai avuto modo di usarle prima della fine della guerra, ammesso che siano state distribuite.
Come conseguenza, ovviamente non voluta dai tedeschi, una pistola nata dalle necessità belliche e di qualità non eccelsa, è diventata un oggetto molto ambito dai collezionisti anche fuori d’Italia a giudicare dalle quotazioni raggiunte.
Questo articolo è stato realizzato grazie alla possibilità di consultare gli archivi della Beretta, che qui sentitamente si ringrazia.