Le prove del numero di novembre di Armi e Tiro sono davvero per tutti i gusti: ai cacciatori sono dedicati i nuovi semiauto Beretta A400 Xplor light calibro 12 e Pietta Ghibli black calibro 20 e la prodigiosa carabina Blaser R8 Black edition, nell’innovativo calibro .300 Blaser magnum. Punta alle gare a mille metri, invece, la carabina Remington Sendero Sf II calibro .300 Winchester magnum: la prova a fuoco a 300, 600 e addirittura 1.063 metri! Tutto un altro genere di gare, la Production division di Tiro dinamico, per la Cz 75 Sp-01 calibro 9×21, finalmente in versione sportiva. Dalle pianure del West il fucile ad avancarica di libera vendita Pedersoli Rocky mountain Hawken calibro .54, per gli appassionati “campanilisti” di Ex ordinanza un appuntamento da non perdere, quello con i cent’anni della Glisenti 1910: produzione, varianti, matricole, vita, morte e miracoli della prima automatica di grande serie del nostro esercito. Nella rubrica Dimensione caccia, spazio ai pesi massimi della canna liscia: a confronto cinque fucili semiautomatici supermagnum, giudicati sul campo. E poi la Fisat e i giovani, la gamma di ottiche Zeiss Duralyt (qualità senza compromessi, prezzo popolare), l’entusiasmante spektive Swarovski Atm 80 Hd 25-50x, le Fiocchi .223 Remington con nucleo Tundra, la fiera Security expo di Galatina e molto altro ancora. Non perdete Armi e Tiro di novembre!
Contro l’Europa
La delega al governo per l’adeguamento alla nuova direttiva europea è agli sgoccioli. Cosa succederà dopo? È difficile dirlo, considerando le relazioni traballanti tra gli alleati della coalizione al governo. Qualcuno ritiene che non se ne farà più nulla e che, invece, il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, spingerà con maggiore decisione per il “suo” nuovo Testo unico sulle armi. Che sarebbe poi quello elaborato dal giudice Edoardo Mori. E mi auguro che la semplificazione sia davvero tale…
Qui mi preme, allora, proprio di tornare all’inizio per sottoporre ai lettori un quesito che mi pare fondamentale: come è potuto accadere che l’ormai “famosa” ristretta cerchia di “addetti ai lavori” ministeriali sia riuscita ad approfittare della novità offerta dalla direttiva europea, per imporre uno schema di decreto assurdo e vessatorio che va nella direzione opposta a quella invocata dalla stessa normativa europea?
La direttiva 2008/51/Ce del parlamento europeo e del consiglio del 21 maggio 2008 è nata da una precisa motivazione: adeguare la ben nota direttiva 91/477/Cee al protocollo contro la fabbricazione e il traffico illeciti di armi da fuoco, loro parti e componenti e munizioni, allegato alla convenzione delle Nazioni unite contro la criminalità transnazionale organizzata. A questo scopo ha inteso integrare nella definizione di arma da fuoco della direttiva del 1991 le cosiddette “armi trasformabili”, stante un aumento diffuso all’interno della Comunità, secondo prove dei servizi informativi delle polizia, dell’uso di armi trasformate. Poi ha ribadito l’esigenza di marcatura unica e tracciabilità delle armi da fuoco, e per far questo ha sottolineato l’importanza dei registri elettronici, consultabili però nel rispetto dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, protezione questa tenuta ben presente per tutti gli altri dati relativi alle autorizzazione in materia. Ha suggerito anche un migliore scambio di informazioni tra Stati membri. Ha posto, quindi, sotto particolare controllo l’attività degli armieri e anche dei cosiddetti “intermediari” (questa figura, tuttavia, non è propriamente prevista dal nostro ordinamento).
Quanto alle munizioni e alla ricarica, la direttiva ha espressamente specificato: “Si intende per ‘munizione’ l’insieme della cartuccia o dei suoi componenti, compresi i bossoli, gli inneschi, la polvere da sparo, le pallottole o i proiettili, utilizzati in un’arma da fuoco, a condizione che tali componenti siano essi stessi soggetti ad autorizzazione nello Stato membro interessato”. Ma soprattutto, in ambito di semplificazione, che “è opportuno che le autorizzazioni di acquisizione e detenzione di un’arma da fuoco siano, quanto più possibile, oggetto di un unico procedimento amministrativo”.
Dunque, tutto o quasi di quello che è stato a questo punto aggiunto allo schema di decreto, decisamente non è stato richiesto dall’Europa, per certi versi è decisamente contrario a quanto l’Europa ha prescritto. La direttiva si è posta l’obiettivo primario di trovare l’equilibrio tra l’impegno a garantire una certa libertà di circolazione per alcune armi da fuoco nello spazio intracomunitario e la necessità di inquadrare tale libertà con determinate garanzie volte a tutelare la sicurezza pubblica e adeguate a tale tipo di prodotti. Lo schema di decreto ha tagliato con la scure, senza riguardo ai principi di libertà e anche all’intelligenza. Resto dell’idea che sia frutto dello zelo e dei gusti personali, di rivincite e ripicche maturate in anni di attività della commissione consultiva per il controllo delle armi. È strano, però, che l’attuale dirigente della divisione armi del ministero abbia sposato in pieno lo schema che contiene posizioni inutilmente vessatorie nei confronti dei cittadini e che evidentemente il dirigente non può avere elaborato in pochi mesi di funzione. Strano, perché senz’altro non interpreta e non ha interpretato il mandato del ministro dell’Interno. Strano, tuttavia non stupefacente.