Era fin troppo facile prevedere come sarebbe andata a finire e infatti, quantomeno tra i commentatori di casa nostra, è andata proprio come preventivato: dall’analisi dell’attacco subito dall’ex presidente statunitense Donald Trump, si è passati molto velocemente al classico ritornello sulla disponibilità indiscriminata di armi negli Stati Uniti e, in particolare, sul fatto che l’Ar15 sarebbe una carabina rigorosamente “da guerra” e con caratteristiche tecniche fantasmagoriche, a metà strada tra il missile nucleare e la portaerei. In particolare, uno dei ritornelli più fastidiosamente stucchevoli che ci è toccato in sorte di ascoltare in questi giorni in Tv e nelle emittenti radiofoniche è che “se gli americani vietassero gli Ar15 e/o le armi, quello che è successo a Trump non si sarebbe mai verificato”. Con altrettanto stucchevoli considerazioni su quanti morti all’anno ci siano negli Stati Uniti a causa delle armi da fuoco, morti in continuo aumento perché in continuo aumento sarebbero le armi.
Cerchiamo allora, se possibile e nel nostro piccolo, di fare qualche considerazione di segno opposto, non per spirito di polemica o perché in qualche modo siamo d’accordo con la normativa vigente nei vari Stati americani sul possesso legale di armi (che da un punto di vista strettamente giuridico è distante anni luce dalla mentalità e dalla storia europea), bensì perché non è bello che i fatti vengano distorti in questo modo, senza il benché minimo contraddittorio.
Senza le armi, non ci sono attentati ai politici?
Cominciamo dalla corbelleria più grossa, quella cioè che senza le armi, nessuno potrebbe attentare alla vita di un politico di vertice. A fare a cazzotti con questa affermazione non è la politica o l’ideologia o il semplice modo di pensare in materia di armi, bensì la storia, anche recente. Due i casi da citare, nello specifico, entrambi finiti nel modo peggiore, cioè con la morte della vittima designata. 16 giugno 2016, Londra, la deputata al Parlamento britannico Jo Cox viene ferita con tre colpi di pistola da un folle, che poi si accanisce con la vittima finendola a colpi di coltello. 8 luglio 2022, Giappone, l’ex primo ministro Shinzo Abe viene ferito (spirerà poche ore dopo) con alcuni colpi di pistola. Cosa hanno in comune questi due casi? Semplice: entrambi si sono verificati in Paesi nei quali è totalmente vietata la detenzione legale di pistole e, in entrambi i casi, gli attentatori hanno invece utilizzato proprio pistole, di tipo auto-costruito. Dimostrando che, purtroppo, la volontà omicida ha risorse più grandi rispetto ai divieti normativi e alla sicumera dei commentatori.
E gli omicidi negli Usa?
Un altro dato sul quale occorre riflettere è quello relativo agli omicidi negli Stati Uniti: è vero, sono in aumento, ed è vero che nel 2021 hanno raggiunto il picco assoluto da quando esistono le statistiche negli Stati Uniti. Ciò che viene accuratamente omesso in questa narrazione è, tuttavia, che se è vero che sono aumentati nel tempo gli omicidi in senso assoluto, è aumentata allo stesso modo la popolazione statunitense. Per capire, quindi, se l’incidenza degli fatti mortali che coinvolgono le armi sia aumentata rispetto alla popolazione, tocca analizzare il numero di uccisioni con armi da fuoco per ogni 100 mila abitanti (realizzate dai Centers for Disease Control and Prevention). Ciò facendo, si scopre allora che se è vero che il rateo di 14,6 morti per armi da fuoco per 100 mila abitanti raggiunto nel 2021 è il più alto dai primi anni Novanta in avanti, è ancora ben al di sotto dei 16,3 casi per 100 mila abitanti che si registrarono nel 1974. Scorporando dal numero di morti “in generale” per armi da fuoco negli Usa (omicidi, suicidi, incidenti, morti per intervento delle forze dell’ordine eccetera), si scopre così che il tasso di omicidi del 2021, pari a 6,7 per 100 mila abitanti, è anch’esso al di sotto del picco del 1974, pari a 7,2 casi per 100 mila abitanti, così come il tasso di suicidi, pari a 7,5 casi per 100 mila abitanti nel 2021 contro i 7,7 del 1977.
Un altro dato interessante è quello relativo alla comparazione del tasso di decessi per armi da fuoco degli Stati Uniti, in rapporto ad altri Stati del continente americano: guardando le statistiche del 2016 (le più recenti disponibili per gli Stati considerati), scopriamo per esempio che il rateo di 10,6 morti per 100 mila abitanti degli Stati Uniti è ben al di sopra dei dati del Canada (2,1 per 100 mila), ma è anche un bel po’ al di sotto di Paesi del Centro-Sud America come El Salvador (39,2 per 100 mila abitanti), Venezuela (38,7 per 100 mila), Guatemala (32,3), Colombia (25,9) e Honduras (22,5). Paesi che, invariabilmente, hanno una normativa sul possesso legale di armi molto più restrittiva rispetto agli Stati Uniti.
Questo quindi significa che la normativa statunitense in materia di armi va bene così come è? Certamente no. Significa tuttavia che l’incidenza di mortalità per armi da fuoco non dipende esclusivamente dalla disponibilità o facilità di acquisizione delle armi stesse, ma anche da una miriade di altri fattori, che contemplano aspetti relativi alla società, alla criminalità, al reddito pro capite, alla scolarizzazione e a molti, molti altri fattori. Isolare a proprio piacimento solo i numeri che fanno comodo per sostenere una narrazione, senza osservare le informazioni nel loro complesso, può essere appagante da un punto di vista strettamente demagogico, ma poco funzionale sul piano del contrasto alle tragedie che avvengono quotidianamente.