Dal ministero dell’ambiente un nuovo decreto che ostacola le immissioni faunistiche. I parlamentari Dreosto e Gava chiedono chiarimenti all’Ispra.
In piena pandemia coronavirus, una delle priorità del ministero dell’Ambiente pare essere quella di occuparsi di immissioni faunistiche, implementando la burocrazia a carico delle amministrazioni regionali italiane. Un fulmine a ciel sereno il decreto ministeriale del 2 aprile scorso ed esecutivo dal 15 del mese, che stabilisce nuovi criteri per la reintroduzione e il ripopolamento di specie: per quelle autoctone, ricollegandosi all’allegato D di un precedente decreto del 1997, per quelle non autoctone, prevedendo ulteriori, stringenti disposizioni. Le nuove misure prevedono che gli enti di gestione compiano la valutazione dello studio preventivo di fattibilitá per le specie endemiche, nonché la formulazione di preventiva richiesta, da inoltrare al ministero dell’ambiente, corredata da uno studio del rischio, per le immissioni di specie alloctone.
La questione, però, non è passata inosservata e alcuni rappresentanti politici si sono immediatamente mossi per chiedere lumi all’Ispra e al governo.
“Ho personalmente inviato una richiesta di chiarimenti al presidente dell’Ispra per chiedere di fornire specifiche indicazioni circa le immissioni di specie di interesse venatorio e per la pesca sportiva”, ha dichiarato in un comunicato l’europarlamentare Marco Dreosto. Un secondo affondo al governo, da parte della deputata alla camera Vannia Gava, anch’essa in quota Lega, che afferma “ho intenzione di presentare un’interrogazione scritta al governo sull’argomento, ero stata promotrice del decreto, controfirmato dallo stesso presidente della Repubblica, che permetteva di derogare alle previsioni della direttiva Habitat sulle specie alloctone, al fine di consentire i ripopolamenti delle trote fario e iridea. Nel decreto era previsto che, entro sei mesi, il ministero dell’Ambiente avesse redatto le proprie linee guida, ma i sei mesi sono passati e le linee guida non si sono viste”.
Una situazione di ulteriore disagio e incertezza che va sommarsi alla crisi della pandemia, quella vissuta negli allevamenti specializzati, costretti a stoppare gli stock di animali prodotti, proprio a ridosso del momento in cui gli stessi andrebbero liberati.