Ancora confusi i contorni della vicenda del custode che nel Bolognese ha ucciso un ladro. L’accusa inizialmente formulata dal Pm non ha, però, alcun senso logico
Le informazioni al momento disponibili sulla vicenda di Bazzano, in Valsamoggia, nel Bolognese, che ha visto un cittadino sparare durante un tentativo di furto, uccidendo uno dei ladri, sono ancora molto confuse e da accertare. Ciò nonostante, è possibile svolgere già una prima analisi sulla congruità dell’accusa formalizzata nella fase iniziale dal pubblico ministero, per omicidio preterintenzionale. Quello che segue è il parere sullo specifico argomento del noto avvocato e giurista Ivan Russo: “Le notizie che apprendo dai media, circa la tragedia di Valsamoggia, mi lasciano impietrito, per quanto inerisce all’esegesi del diritto penale, salvo che sussistano malintesi o errori nella comunicazione. Mi riferisco all’ipotesi di omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.), che di conseguenza è aggravato dall’art. 585 stesso codice (uso dell’arma), avanzata dalla Procura di Bologna a carico del custode che ha causato la morte di una persona sorpresa a rubare.
Orbene, la prima considerazione è che, essendo tal delitto aggravato, la pena massima (24 anni di reclusione) finisce con il combaciare con quella dell’omicidio volontario (cui non si può mai riferire l’aggravante dell’uso dell’arma): perciò, è davvero relativo il “beneficio” che da tal imputazione potrebbe derivare al protagonista della vicenda.
La seconda riflessione è che l’ipotesi formulata, se collegata al caso di specie, appare un po’ come il mangiare würstel dopo la torta nuziale. Intendo dire che, con riguardo allo svolgimento di cui si discute, il delitto preterintenzionale non c’entra per nulla, bensì il pensiero dovrebbe correre, alternativamente, alle seguenti figure: muovendo dalla legittima difesa piena (reale o putativa), valutare un eventuale eccesso colposo o una legittima difesa putativa viziata da colpa (e semmai un eccesso colposo in colpevole difesa putativa); indi, come extrema ratio, approdare, caso mai, all’omicidio volontario. Comunque sia, però, mai immaginare un omicidio preterintenzionale: vera contraddizione in termini e nonsenso giuridico.
Ed è perfetto nonsenso giacché l’art. 584 postula che l’agente, volendo infliggere solo percosse o lesioni, cagioni la morte della vittima, non immaginando tal evento nemmeno a livello di probabilità.
Orbene, quanto alle percosse (com’è quella inferta con uno schiaffo), appare evidente che, se si usa un’arma, si è ontologicamente fuori del concetto.
Sembrerebbe residuare l’evenienza delle lesioni trasmodate in omicidio; e però, se appena appena si guarda al contesto in cui è avvenuto il fatto, si evince, ictu oculi, quanto sia giuridicamente peregrina la connessione con l’art. 584. Assodato che già l’uso di un’arma da fuoco esclude (salvo rare eccezioni) il concretarsi del delitto preterintenzionale, nel caso in questione si aggiungono le specifiche e speciali condizioni nelle quali si è svolto l’accadimento: tempo di notte, visibilità scarsissima, sparo indirizzato verso “fonti di rumori”, piuttosto che contro persone ben visibili.
In altre parole, se si vuol negare la legittima difesa, ovvero escludere le correlate aberrazioni (errori) di natura colposa, non rimane che ipotizzare l’omicidio volontario per dolo eventuale; invero, se si muove dal presupposto che il custode abbia agito dolosamente per procurare lesioni volontarie (art. 582 c.p.), e pur non volendolo ha generato morte, è da chiamare in causa l’omicidio volontario per dolo eventuale, dal momento che il soggetto ha accettato il rischio di ammazzare.
Per dirla in altro modo ancora, l’omicidio preterintenzionale richiede necessariamente che il responsabile causi la morte di qualcuno, pur essendo assolutamente certo di infliggere “semplici” lesioni; se manca detta certezza, che deve essere assoluta, si è al cospetto dell’omicidio volontario, per accettazione del rischio. Orbene, ipotizzare che, nel caso de quo, lo sparatore fosse del tutto sicuro di commettere soltanto lesioni significa accreditargli qualità superlative; infatti, considerate l’ora notturna, la distanza (circa 20 metri), l’indistinta percezione “acustica” degli accadimenti, occorre concludere che l’evenienza di altre ben più gravi conseguenze connesse allo sparo potrebbe essere stata esclusa solo da chi fosse stato convinto di beneficiare di una vista migliore di quella del gufo, di un udito da far invidia alla tarma della cera, di una mira capace di ridicolizzare Tex Willer.
Bene sarebbe, perciò, ossequiando la logica, la serietà e l’equilibrio, iniziare a confrontarsi con la causa di giustificazione piena, ovvero con le eventuali implicazioni che disegnino un possibile omicidio di natura colposa (artt. 55, oppure comma 4 del 59, e 589 c.p.). E, solo se tali fattispecie saranno state escluse senza dubbi di sorta, comparirà la necessità di guardare alla figura del delitto per antonomasia: l’omicidio volontario”.