La Beretta aveva certamente pensato a introdurre nel mercato civile italiano una qualche versione lecita della 1951 e si ha notizia dell’esistenza di almeno due conversioni in calibro .22 lr. Esiste infatti in museo un prototipo bancato 1957 e un altro fu pubblicato anni fa su una rivista del settore. Il tentativo non ebbe seguito, ma non erano sottovalutate le potenzialità di vendita di un’arma dedicata al mercato italiano.
L’occasione giunse quando l’Armeria Ravizza di Milano, nel giugno del 1963, chiese alla Beretta di fabbricare la 1951 in calibro 7,65 parabellum. Nella risposta del 24 giugno la Beretta dichiarava che “quanto offerto è di nostro interesse” e contemporaneamente richiedeva alla stessa Ravizza la fornitura di 20.000 cartucce 7,65 parabellum ”al miglior prezzo possibile” per effettuare le necessarie esperienze con il nuovo calibro. Lo stesso Carlo Ravizza si recò in visita a Gardone nel settembre, per constatare lo stato dei lavori.
Di fatto le prime 1951 italiane furono tutte vendute a questa storica armeria (fondata nel 1861) con la quale la Beretta aveva sempre avuto rapporti privilegiati, come testimoniato dal fatto che, in precedenza, le aveva sempre inviato tra i primi, se non per prima, le armi di nuovo modello.
La nuova pistola era del tutto simile a quella proibita, tranne per il calibro 7,65 para riportato, peraltro, nella rullatura sul carrello e in un secondo tempo sul caricatore per evitare le possibili denunce per fabbricazione e detenzione di “scritte da guerra”.
La prima arma, con la matricola 1001 fu caricata sul registro di produzione il 2 settembre 1963 e partì per Milano il successivo19 novembre: l’ultima di questo primo lotto, la 2933, risulta inserita sul registro l’11 novembre dello stesso anno. Questo significa che le prime 1.933 pistole furono fabbricate in pochi mesi e probabilmente spedite quasi tutte in due casse marcate “PB 08276/82777” del peso di 60 e 73 kg, seguite dalla fattura 18.631.
Queste 1951, chiamate talora dalla stessa Beretta anche 951, forse per risparmiare una cifra, sono caratterizzate da una finitura particolarmente curata e dalla matricola riportata sul fusto, sul carrello e sulla canna. Il caricatore non presenta, temerariamente, nessuna scritta inerente al calibro: apparirà dopo poco, forse su suggerimento del ministero degli Interni!
Di questo lotto fa parte uno dei primi esemplari, sempre venduto a Ravizza, dotato di mirino allungato e di tacca di mira regolabile inserita in una fresatura realizzata sul carrello più in avanti rispetto a quella della normale tacca di mira, di cui non c’è traccia. Ciò fa pensare cha l’arma sia stata specificamente costruita in Beretta su precisa richiesta di un tiratore che intendeva usarla al poligono. Simili richieste avranno, come vedremo, una risposta più concreta nelle varianti successive.
Il successo di vendite portò alla realizzazione di un secondo lotto la cui produzione iniziò il 1° luglio1968, riprendendo con la matricola 2934 la precedente numerazione. L’ultima prodotta porta il numero 5459 e uscì dalla fabbrica nel 1972, anche se la 5449 risulta venduta nel luglio dell’anno successivo, forse assemblando parti di armi giacenti in magazzino. In questa variante, la produzione risulta diluita in alcuni anni e anche gli acquirenti sono più diversificati, arrivando ordini anche dall’estero. La finitura di queste pistole risulta leggermente inferiore a quella delle precedenti e anche la matricola è riportata solo sul fusto, probabile segno sia dell’aumentato costo della manodopera conseguente ai maggiori oneri dei contratti di lavoro del tempo, sia della perfetta intercambiabilità dei pezzi dovuta all’ottimizzazione dei processi fabbricativi. Fu modificata anche l’esecuzione delle fresature di presa del carrello, che passarono da 33 a 30. In questo lotto si conoscono alcune pistole specificamente destinate al tiro, che possiamo considerare sottovarianti. Quelle conosciute risultano tutte fabbricate nel 1969. È possibile che la Beretta abbia deciso in questo periodo di realizzare, a scopo sperimentale, esemplari destinati ai tiratori anche per trarne indicazioni di mercato.
Probabilmente questa decisione scaturiva dalla convinzione che la 1951 fosse competitiva con le più blasonate pistole di grosso calibro usate nei poligoni. In effetti il sistema di chiusura adottato era potenzialmente più preciso di quello Browning-Colt.
A quel tempo, tanto per fare un esempio, la Sig 210, importata in Italia nello stesso calibro, godeva di una fama quasi leggendaria. Di certo era costruita benissimo, sparava altrettanto bene, ma a parer mio (non insorgete…), non aveva un rapporto qualità/prezzo altrettanto favorevole.
La prima sottovariante ha una origine documentata verbalmente, ma presenta caratteristiche tali da far ritenere improbabile una modifica fatta da un comune armaiolo, pur se bravo. Ne risultano prodotte almeno 3, anche se non è possibile reperire notizie certe in tal senso nei registri.
La canna è lunga 150 mm e il mirino è fissato su una boccola sfilabile per consentire lo smontaggio, fermata da una ghiera filettata. Ovviamente manca il mirino sull’estremità anteriore del carrello. La tacca di mira è regolabile in altezza e in derivazione.
Un piccolo giallo è costituito dal fatto che i due esemplari da me esaminati hanno uno il numero 3 e l’altro il 5 riportati sulla canna, sul fusto e sul carrello come se, appartenendo a una piccola serie speciale di pistole, i pezzi fossero contrassegnati per assemblarli correttamente. Questi numeri indicherebbero l’esistenza di almeno 5 esemplari. L’attenzione prestata nella realizzazione è testimoniata da uno scatto particolarmente curato rispetto allo standard. La prima fu caricata sul registro il 24 aprile 1969 e spedita nello stesso giorno al Tiro a segno di Milano. Le altre due furono vendute sempre al Tsn di Milano e una, prodotta 12 dicembre 1969, finì il 23 dello stesso mese nelle mani di Gabriele Beonio Brocchieri, che molti ricordano essere stato a lungo il migliore e il più eclettico tiratore con armi corte a livello nazionale. L’interessato, anni fa, mi aveva confermato che l’arma era stata fabbricata appositamente dalla Beretta.
Una caratteristica saliente è data dalla sicura manuale che, al contrario di tutta la serie 1951-952, non è a pulsante, ma a leva, come quella adottata appena un anno prima (1968) nell’ultima versione della serie 70. Questa modifica fu determinata dal fatto che la sicura a traversino, da tempo usata anche nel Mab, poteva inserirsi accidentalmente.
La prima pistola ha le guance in noce con appoggio per il pollice, mentre quella destinata a Beonio Brocchieri, che era mancino, ha la guancia sinistra nata liscia. Inoltre ha una vite che funge da trigger stop, molto utile per ridurre il collasso di retroscatto. La terza, inserita sul registro il 13 maggio 1969, fu spedita il 4 febbraio 1970 all’armeria G. Milazzo di Caltanissetta, sembra su richiesta di un tiratore.
La seconda subvariante costituisce l’edizione civile del modello Berhama, così definito dal nome del colonnello egiziano che lo aveva richiesto e che era stato denominato 1951/57. Si tratta di una pistola con canna di 150 mm e organi di mira regolabili. Fu venduta all’armeria Marte di Bologna l’8 luglio 1969 e risulta prodotta il giorno precedente, tanto da far pensare a un ordine speciale. La fresatura per la tacca di mira non è quella usuale, manca il mirino sulla parte anteriore del carrello, sul lato destro è rullata la scritta “Berhama”. La brunitura è quella originale. La sicura è in questo caso quella solita a traversino, tipica delle mod. 1951 e delle future 952. Contrariamente alle altre armi della seconda variante, la matricola è riportata anche sulla canna. Le guance sono semianatomiche in noce. È probabile che non sia l’unico esemplare esistente.
Anche se non si tratta di una subvariante “doc”, vale la pena di ricordare l’esistenza di alcune pistole trasformate nei primi anni Ottanta dal 7,65 parabellum al .32 S&W long per continuare a sparare in poligono, in quanto il primo calibro era diventato da guerra in seguito al solito colpo di bacchetta magica del Ministero. Si trattò di un lavoro non facilissimo che, ancora una volta, fa apprezzare l’atavica arte di arrangiarsi e di aggirare le regole del nostri connazionali. Di necessità si fa virtù… Si narra che la nascita della pistola modello 952 (ufficialmente senza “1” davanti) sia stata dettata anche dalle preoccupazioni per i tanto paventati pericoli per l’ordine pubblico che avevano cominciato a delinearsi (sul serio) agli inizi degli anni Settanta. I provvedimenti più facili sono quelli basati sui simboli e sulle parole: sono rapidi e a costo zero, specie se colpiscono una minoranza con scarso peso elettorale.
Si vagheggia che i soliti indisciplinati italiani si recassero in Svizzera a comprare le “canne del diavolo”, che non erano la cannabis, ma proibitissime canne di pistola calibro 9 parabellum e le montassero sulla loro 1951 con grave rischio per la sopravvivenza delle istituzioni democratiche.
Si narra, infine, che la Beretta sia stata “consigliata” in alto loco a cambiare tutto per non indurre in tentazione e che siano state modificate alcune quote per impedire il montaggio delle canne incriminate. Tutte queste belle storie, che ci consentono di parlare male del Governo e delle sue azioni, sono state smentite da una prova effettuata in Beretta, dalla quale risulta che le canne in calibro 9 si possono tranquillamente montare sulla 952.
La realtà è, con tutta probabilità, diversa: il buon successo di vendite, anche all’estero e la favorevole accoglienza da parte dei tiratori, fece sì che la Beretta riconoscesse la dignità di modello a sé stante dell’arma in calibro 7,65. Infatti tra le primissime pistole alcune finirono anche in Svizzera (i biechi cittadini esterofili sono quindi dovunque!) ed erano in buona parte nella configurazione con canna di 150 mm e mire regolabili.
È anche possibile che il solito ministero degli Interni non vedesse di buon occhio la denominazione “mod. 1951”, troppo simile a quella militare e che avesse dato i soliti buoni consigli. Alla fine, con un significativo aggravio di spesa, furono cambiati il rullo per le scritte sul carrello e il sistema di matricolazione, tanto che qualche spiritoso considerava appropriato il nome “Gattopardo”, in linea con i nomi dati alle pistole Beretta vendute negli Usa.
Nacque così la modello 952 (senza 1) per la quale era ufficialmente prevista una versione “Special” destinata al tiro accademico. La numerazione della “nuova” pistola cominciò da G00001 e la prima fu venduta in Belgio. Tutte le armi di questo lotto risultano essere state prodotte tra il 7 luglio 1972 e il 10 ottobre dello stesso anno. Ciò è plausibile, visto il numero limitato dei pezzi. Le due versioni della 952 furono denominate “Standard”, quella con canna di 115 mm e guance in plastica, e “Special”, quella con canna di 150 mm e guance in legno con appoggio per il pollice. Venivano caricate sul registro con due distinti codici: A0651 per la Standard e A0652 per la Special. La matricola era solo sul lato destro del fusto. L’ultima pistola con questa numerazione risulta la G00345, mentre la G00328, anche questa forse assemblata con parti rimaste, risulta prodotta il 7 aprile 1982 e venduta a Brescia il 30 dello stesso mese. A partire dal 1973 fu nuovamente cambiata la matricolazione, adottando il sistema che sarà continuato con il modello 92/98. Le nuove pistole partivano dalla A00001X, venduta a un privato milanese nel novembre del 1973. Fin verso la matricola A03000X, le caratteristiche delle armi sono quelle della serie G, con i modelli Standard e Special. Faccio presente, ancora una volta, che è inevitabile, per vari motivi, una notevole approssimazione nell’attribuire un preciso numero di matricola all’inizio di una nuova variante. Le fabbriche di armi non hanno interesse a divulgare alla concorrenza i dati di produzione a meno che questa non sia cessata. Per ottenere questo, le matricole vengono spesso attribuite casualmente nel range di numeri nell’ambito dei quali è prevista la produzione. Per esempio, se i numeri vanno da 1 a 10.000, alla prima arma prodotta può essere attribuito il 4050, alla seconda il 1001 e così via. Possono rimanere alcuni “vuoti”, che verranno riempiti successivamente, magari utilizzando pezzi prodotti da tempo. Inoltre, variazioni trascurabili ai fini produttivi, ma importanti per quei rompiscatole dei collezionisti, non vengono annotate nei registri o, addirittura, riguardano solo particolari fabbricati in linee diverse, in tempi diversi e infine assemblati, creando ancora più confusione. Quindi non protestate troppo per gli involontari errori e tenetelo presente anche per gli articoli futuri!
Nel corso della produzione, l’anello per il correggiolo scomparve definitivamente dalla base dell’impugnatura e fu aggiunta una rondella sieger per impedire che la leva dell’hold open si sfili dalla sua sede.
Per la Special fu adottata una tacca di mira regolabile più larga e robusta. Visto che molte armi erano destinate alla clientela estera, compresi gli svizzeri scarsamente patrioti, in corrispondenza della leva di smontaggio la scritta in italiano fu sostituita da quella inglese “disassemb.” (per disassembly).
Il numero di catalogo, incomprensibile per gli stranieri, ma patrimonio “culturale” del Belpaese, compare sul lato destro del fusto ed è 16 per la Standard e 17 per la Special. La fase finale di produzione è caratterizzata da cambiamenti importanti: il mirino della 952 Special, supportato da una boccola posta all’estremità della canna e bloccato con una ghiera filettata con tanto di rondella elastica, era soggetto a rompersi, tanto che alcune pistole furono modificate artigianalmente.
È anche possibile che il solito ministero degli Interni abbia espresso, allora come ora, la propria preoccupazione per la presenza di una filettatura all’estremità della canna, perfida istigazione ad avvitare un silenziatore.
Di fatto il mirino fu applicato direttamente sulla canna, con la conseguenza che, per consentire lo smontaggio, fu tagliata superiormente la porzione anteriore dell’otturatore, analogamente a quanto già fatto nelle calibro .22 della serie 70. Ambedue le versioni di questa variante presentano questa modifica e hanno le mire regolabili.
Il fissaggio delle guancette fu reso più stabile aggiungendo una vite autofilettante alla base, come già fatto nella versione con impugnatura semianatomica.
Il cambiamento più importante si verificò con l’adozione del fusto in lega leggera. Questa può essere considerata la quarta variante, simile alla precedente, ma caratterizzata da lavorazioni e dimensioni del fusto notevolmente diverse a causa delle diverse caratteristiche meccaniche dell’Ergal rispetto all’acciaio. Con questa versione finale della 952 Beretta, che ha sempre prestato una cura quasi maniacale al corretto funzionamento della sue armi in tutte le condizioni, aveva evidentemente raggiunto la certezza dell’affidabilità di questa soluzione, già da tempo perseguita.
Gli esemplari osservati hanno il punzone del Banco di prova del 1982 e 1983. L’ultima 952, con la matricola A07241X, fu prodotta il 25 luglio 1983 e fu venduta nell’ottobre successivo. Il tempo di gestazione era finito: subito dopo, questo tipo di matricolazione fu usato per la 92, a confermarne la diretta discendenza.
L'articolo completo è stato pubblicato su Armie Tiro – ottobre 2012