Il disegno di legge C-21, proposto alla fine di settembre 2020 dal ministero canadese per la pubblica sicurezza e fortemente sponsorizzato dal ministro Bill Blair, non si propone di introdurre restrizioni solo sul possesso di “vere” armi da fuoco, bensì intende dichiarare guerra anche alle Soft air, come peraltro è già accaduto nel Regno Unito.
Il Canada, in particolare, ha sempre avuto una lunga tradizione di contrasto alla diffusione delle repliche di armi da fuoco: i primi provvedimenti restrittivi in tal senso risalgono agli anni Cinquanta, ma il più recente provvedimento legislativo vigente è della metà degli anni Novanta e vieta il possesso di qualsiasi replica d’arma da fuoco, eccezion fatta per quelle che riproducono armi antiche. Tutto ciò premesso, in realtà il provvedimento non ha mai riguardato le repliche Soft air, le quali essendo in grado di sparare un pallino di plastica non sono assimilate alle repliche in quanto tali, e ovviamente non possono essere considerate neppure armi da fuoco.
Questo ha fatto sì che, negli ultimi anni, anche in Canada come in altri Paesi del vecchio e del nuovo continente si siano diffusi gli sport legati alle repliche Soft air, in primis i wargame. Nello stesso tempo, di pari passo si sono moltiplicate le preoccupazioni da parte dei reggitori della cosa pubblica, i quali temono che le Soft air siano utilizzate da rapinatori e stupratori per minacciare la propria vittima, facendole credere che si tratti di un’arma vera, arrivando fino a teorizzare la moltiplicazione esponenziale dei cosiddetti “suicide by cops”, ovvero tentativi di suicidio attraverso l’uso delle armi da parte di agenti di polizia, minacciati appunto con giocattoli.
La soluzione proposta da Blair è che i produttori di Soft air, per continuare a commercializzare i propri prodotti in Canada, realizzino appositamente modelli che, in virtù di colori sgargianti o di contrassegni evidenti, possano essere agevolmente distinti, a prima vista, da armi vere.
La risposta del settore è stata che difficilmente le aziende produttrici di Soft air (principalmente cinesi e giapponesi o coreane) metteranno in produzione specifici modelli conformi alla normativa di un Paese, come il Canada, nel quale la pratica del Wargame rappresenta ancora un mercato piuttosto ridotto, seppure in espansione. La conseguenza più diretta è, banalmente, la fine dei giochi.
Problema di strumento… o di prospettiva?
In realtà, tra i “contrassegni evidenti” si potrebbe banalmente includere la verniciatura in rosso della porzione anteriore dell’arma, così come avviene per l’Italia: questo consentirebbe di salvare, come si dice, la capra e i cavoli.
In realtà l’aspetto sul quale focalizzarsi è un altro, cioè che questo tipo di provvedimenti rappresenta un importante (e inquietante) sintomo di un evidente problema di prospettiva che riguarda il rapporto tra il cittadino e lo Stato nei tempi moderni. Sia in Canada, sia anche in Italia, nella seconda metà del secolo XX sono state previste normative per le quali non era lo strumento in sé a essere criminalizzato (cioè la riproduzione d’arma), bensì l’uso criminale che eventualmente ne fosse fatto, che avrebbe comportato (e in Italia tuttora comporta) lo stesso tipo di punizione penale prevista per un atto perpetrato con un’arma vera. Così, per esempio, una rapina commessa con una scacciacani camuffata in modo da somigliare a una vera pistola, sarà punita come rapina a mano armata, anche se il rapinatore non aveva in mano una vera pistola, perché il reato in sé si basa sull’effetto minaccioso dello strumento, più che sulla sua reale capacità lesiva. Ne consegue che l’attività repressiva stabilisce un legame evidente con la responsabilità individuale del cittadino e delle sue azioni consapevoli.
La prospettiva del progetto di legge C-21, che è poi la stessa che si sta moltiplicando in molti Paesi occidentali, è differente e molto preoccupante: si parte dal presupposto che siccome, in astratto, di un determinato strumento potrebbe essere fatto un uso illegale, allora sarà vietato del tutto quello strumento. Il che si inserisce in uno dei principali problemi portati con sé dalla diffusione, nel secondo dopoguerra, del modello culturale statunitense, nel quale in sostanza la responsabilità individuale non esiste.
Ma una massa di cittadini considerati, sempre e comunque, irresponsabili da parte dello Stato, potranno essere governati in futuro solo a colpi di divieti. È uno spunto di riflessione sul quale sarebbe opportuno soffermarsi prima che sia troppo tardi.