Sembra che il primo ministro canadese Justin Trudeau (in foto) abbia fatto il passo più lungo della gamba quando, il 1° maggio 2020, improvvisamente varò un provvedimento di messa al bando di 1.500 modelli di armi giudicate “d’assalto”, legalmente detenuti dai cittadini canadesi. Sta di fatto che il governo federale è ancora in alto mare sia per la definizione delle procedure per il riacquisto delle armi vietate, una volta scaduto il periodo finestra (originariamente di due anni), ma soprattutto il grosso punto di domanda è rappresentato dai costi complessivi dell’operazione che, oltre al controvalore delle armi in sé, dovranno necessariamente comprendere le risorse per l’istituzione degli uffici e del personale preposto alle operazioni di consegna, lo stoccaggio delle armi e la loro distruzione. Ecco perché, probabilmente, il governo di Ottawa intanto ha pensato bene di prendere tempo, spostando la scadenza del periodo finestra dalla fine di aprile 2022 all’ottobre 2023.
Il ministro della pubblica sicurezza, Marco Mendicino, ha comunque ostentato sicurezza sul buon andamento dell’operazione, affermando che “La priorità numero uno come ministro della pubblica sicurezza è proteggere i canadesi, in particolare dalla violenza armata. Il divieto delle armi d’assalto e il programma di riacquisto sono tra i pilastri chiave del piano del governo in questo senso”.
I detrattori del progetto (principalmente facenti capo all’area conservatrice) hanno ribadito l’arbitrarietà della messa al bando delle armi da fuoco in questione ma, soprattutto, l’inutilità del provvedimento in sé, le cui risorse (decisamente ingenti anche se ancora non quantificate con precisione) sarebbero molto più utilmente spese, nei confronti della sicurezza dei cittadini, fornendo maggiori risorse alle forze di polizia e, soprattutto, ai funzionari operanti sulla frontiera con gli Stati Uniti, Paese dal quale arriva il grosso delle armi illegali utilizzate dalla criminalità.