Ci sono voluti due anni di indagini, ma adesso la verità comincia a venire a galla. E il quadro complessivo non fa di certo fare bella figura alle autorità di pubblica sicurezza canadesi, né tantomeno al primo ministro Justin Trudeau che, a poche settimane di distanza dalla folle strage perpetrata in Nuova Scozia da Gabriel Wortman, un odontoiatra apparentemente insospettabile, pensò bene di ripulirsi la coscienza politica mettendo al bando il possesso da parte dei cittadini canadesi di oltre 1.500 modelli di armi ritenute “d’assalto”. La procedura di messa al bando, peraltro, è ancora ben lungi dall’essere completata e richiederà costi molto elevati per la collettività.
Procediamo con ordine: in questi mesi di indagine, si è riusciti a ricostruire l’origine per almeno 3 delle 5 armi utilizzate dal folle per compiere la strage e, come peraltro si era sospettato già da subito, si è confermato che sono state contrabbandate illegalmente dalla frontiera statunitense, più precisamente dal Maine, dove Wortman andava spesso e dove aveva alcuni amici. In particolare, a essere oggetto di contrabbando sono state una delle tre pistole utilizzate nella strage e le due carabine “d’assalto”, cioè un Ar15 e una Ruger mini 14. Sembra tra l’altro che almeno una delle armi utilizzate nella strage sia stata proprio regalata a Wortman da uno di questi amici, Sean Conlogue, ben sapendo che lui l’avrebbe portata oltre confine: cosa, peraltro, che è illegale anche secondo la legge statunitense. Conlogue, interrogato dagli investigatori, ha peraltro affermato di non avere idea che l’amico (con il quale aveva rapporti da oltre vent’anni) avesse intenzione di fare ciò che ha fatto.
L’interrogatorio di Conlogue ha consentito agli investigatori di appurare con quali metodologie Wortman sia riuscito a occultare le armi sui veicoli da lui guidati per tornare in Canada, ma a quanto pare sarebbe stato comunque improbabile che il suo veicolo venisse ispezionato dalle autorità di frontiera, in quanto Wortman era in possesso di una certificazione Nexus, un programma progettato per accelerare i transiti di frontiera che, sostanzialmente, consente di ottenere il riconoscimento di “soggetto a basso rischio” dopo un colloquio con le autorità e una valutazione. Chi è in possesso di una certificazione Nexus può ancora essere controllato a campione, ma è improbabile che ciò accada. A meno che, ovviamente, sul soggetto in questione non giungano segnalazioni all’autorità in relazione ad attività sospette.
Una indagine giornalistica condotta da Cbc news ha in effetti dimostrato che, negli anni precedenti alla strage, erano state inoltrate più segnalazioni di polizia relative al fatto che Wortman detenesse illegalmente armi: una, del 2011, era specificamente relativa al fatto che nel cottage dell’uomo a Portapique, dove poi è avvenuta la strage, l’uomo tenesse “una pistola nel comodino e una carabina in uno scomparto vicino al camino”. Nel 2013 c’era stata una ulteriore segnalazione da parte di una vicina di casa per violenza domestica da parte di Wortman nei confronti della partner e anche in quel caso era stato riferito che l’uomo possedesse armi illegali.
La Royal canadian mounted police (la polizia a cavallo) non è stata in grado di spiegare se, e come, queste informative siano state a suo tempo gestite per fare in modo che si verificasse l’effettiva presenza illegale di armi a casa di Wortman. Di certo c’è che controlli non ne furono mai effettuati e il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Si dimostra quindi, inoppugnabilmente, che la normativa in materia di armi legalmente detenute vigente in Canada prima della riforma Trudeau non ha alcun collegamento con l’acquisto e il possesso delle armi possedute dal folle prima di compiere la strage, né tantomeno che la riforma Trudeau, se fosse stata implementata anche un decennio prima, sarebbe servita a qualcosa per evitarla. Si dimostra anche, ancora una volta, che molto più utile rispetto a una legge che va a distinguere tra armi consentite e vietate sulla base della loro forma o del loro aspetto estetico, conta assicurare che le norme già esistenti a tutela della collettività siano applicate da una autorità di pubblica sicurezza che sia in grado di funzionare in modo tempestivo ed efficiente.