Uno studio scientifico evidenzia come la sterilizzazione dei cinghiali, oltre a enormi problemi pratici, non costituisca una alternativa efficace all’abbattimento
A margine della vicenda che ha visto una vera sollevazione popolare per l’abbattimento nell’abitato di Roma di un gruppo di cinghiali, il quotidiano La Repubblica ha pubblicato un articolo di Piero Genovesi (Ispra) nel quale si evidenziano i risultati di uno studio, pubblicato per la prima volta sulla rivista Plos one, nel quale sono stati comparati i dati demografici di due popolazioni di cinghiale, in Italia e Inghilterra, monitorate per oltre 10 anni da alcuni team di ricercatori (Ispra, Centre for ecosystems, society and biosecurity, forest research e National wildlife management centre). Ebbene, lo studio ha confermato che anche garantendo il mantenimento costante dell’80 per cento di femmine sterilizzate, non si osservano riduzioni significative della popolazione, anche proseguendo l’azione di inoculazione di vaccini immunocontraccettivi per oltre 10 anni. Nel momento in cui, invece, si rimuovesse ogni anno l’80 per cento dei cinghiali presenti, si otterrebbe un calo drastico delle popolazioni.
L’utilizzo della sterilizzazione è inoltre da considerarsi teorica perché non esistono vaccini contraccettivi somministrabili per via orale, quindi sarebbe necessario catturare gli animali e iniettare il vaccino per via intramuscolare su base individuale, il che è obiettivo impossibile da raggiungere nella pratica su numeri di ampiezza significativa. La conclusione dello studio è che una soluzione contro la proliferazione dei cinghiali sia rappresentata dalla riduzione della disponibilità di cibo (rifiuti urbani) nelle città, ma la rimozione venatoria resta uno strumento essenziale.
“Rimane dunque la questione di fondo, irrisolta se non si agisce diminuendo la densità delle popolazioni sorgente, dalle quali originano gli esemplari che, entrando nelle nostre città, possono diventare problematici. Ed è qui che il ruolo dei cacciatori diventa fondamentale”, ha commentato l’Ufficio Studi e ricerche faunistiche e agroambientali di Federcaccia, “Solo effettuando prelievi numerici importanti e regolari (abbattimento in regime di caccia o di controllo) nel tempo è possibile arrivare ad una efficace riduzione della densità di popolazione. Certamente gli abbattimenti non sono l’unica soluzione, ma perché il fenomeno possa essere gestito correttamente è necessario mettere in atto una serie di altre soluzioni. Oltre a quelle già citate nell’articolo di Genovesi, come il controllo delle discariche e degli accumuli di rifiuti (soprattutto nei centri urbani), la realizzazione di recinzioni e la messa a punto di soluzioni di difesa delle colture, è anche necessario realizzare sovrappassi e sottopassi per la fauna selvatica lungo le vie di alto scorrimento, laddove queste interrompono con il loro corso la continuità ambientale di un’area, operando una frammentazione ecologica che spinge gli individui a cercare punti di attraversamento. La questione è certamente complessa e non banalizzabile, ma risulta evidente anche dagli ultimi studi scientifici sul tema che il mondo venatorio svolge un ruolo essenziale nel contenimento delle problematiche legate alla proliferazione dei cinghiali, senza il quale ci sarebbero conseguenze ancor più gravi”.