La disavventura kafkiana di un escursionista ripropone con evidenza la questione del “giustificato motivo” per il porto di strumenti atti a offendere: per la pubblica amministrazione, esiste?
La disavventura è stata riportata dal quotidiano l’Adige, capitata a uno sfortunatissimo escursionista cinquantenne: un controllo da parte della Forestale mentre si trovava nel bosco a fare una escursione, ha evidenziato che nell’auto dell’uomo erano presenti tre coltelli a serramanico. Apriti cielo, immediata segnalazione alla procura e altrettanto immediata condanna a quattro mesi di reclusione, nonostante anche il pubblico ministero avesse richiesto l’archiviazione. I coltelli erano peraltro conservati sul veicolo anche perché il medesimo (un pick-up) era utilizzato anche per ragioni di lavoro, nell’edilizia, e l’avvocato difensore ha peraltro sottolineato che il porto abusivo di strumento atto a offendere viene normalmente contestato a persone fermate in città o in determinate situazioni, non certo in un bosco all’alba.
La vicenda è evidentemente un caso limite, ma neanche tanto: qualche mese fa, in un contesto urbano, un cittadino era stato fermato e condannato perché nel bagagliaio dell’auto era stato rinvenuto un “pericolosissimo” forchettone da barbecue, “residuato” da una festicciola tra amici nel weekend. Non si può a questo punto non fare un parallelo tra l’apparente estinzione del “giustificato motivo” per il rilascio del porto di pistola per difesa personale, e l’altrettanto apparente estinzione del “giustificato motivo” per il porto di un semplice coltello, per la pubblica amministrazione nel suo complesso: operatori sul territorio, questure, prefetture e magistratura giudicante.
L’indicazione che è necessario trarre da queste vicende è, come al solito, che su materie molto delicate, quali quelle legate al concetto delle armi e degli strumenti atti a offendere, la genericità e astrattezza della norma di legge può portare a interpretazioni rigoristiche fino all’esasperazione. Il concetto di “giustificato motivo” per il porto di un coltello, quindi, appare oggi ancora più labile e opinabile di quanto si potesse ipotizzare anche solo pochi anni or sono.
Non si può anche negare che, a questo proposito, occorra anche rappresentare l’atteggiamento di alcuni operatori delle forze dell’ordine che, pur in un contesto obiettivamente al di fuori da qualsiasi interpretazione dubbia (da che mondo e mondo, chiunque porta un coltello con sé quando va a fare una escursione, suvvia…), attivano un procedimento penale, che “tanto poi lo vai a spiegare al giudice”. Non possiamo ovviamente permetterci di entrare nel merito di una vicenda che non conosciamo nel dettaglio, possiamo però permetterci di osservare che, alcune volte, un atteggiamento rigoristico degli operatori sul territorio, oltre i canoni della logica e del buon senso, possa portare come conseguenza a un evidente allontanamento della gente comune dagli operatori dello Stato. Il che, alla lunga, si riflette inevitabilmente anche sul lavoro degli operatori medesimi, che potranno contare sempre meno sulla collaborazione della cittadinanza. Sarebbe opportuno che, anche e soprattutto oggi, al posto di ragionare in termini di “atti dovuti” si ritornasse a ragionare in termini di buon senso e di diligenza del buon padre di famiglia.