Si è svolto all’università La Sapienza di Roma un convegno sull’interconnessione tra salute umana, animali, ambiente.
Già dal XIX secolo si era già cominciato a considerare la salute animale e umana direttamente legate, e molto spesso interconnesse. Nacque così il termine “Zoonosi”, chiamando così il passaggio di una qualsiasi malattia infettiva o parassitaria dagli animali all’uomo mediante contatto o alimenti infetti, sangue e altri liquidi biologici. Inutile e troppo lungo elencare tutte le varie possibilità di zoonosi, basterebbe soltanto ricordare cosa stiamo vivendo da più di due anni con la pandemia per capire la gravità del problema e l’attenzione che esso merita. Gli interventi, tutti qualificatissimi, sono stati diversi e molto espliciti nel mettere in risalto il suddetto problema. Tanto è vero che è stato coniato il termine “One Health”. Ovvero un principio triangolare che interconnette come strettamente dipendenti tra loro l’uomo, gli animali e l’ambiente che tutti ci ospita. Riassumendo, le armi a disposizione sono conosciute ma non troppo applicate: intervenire sempre più capillarmente sulla prevenzione, con vaccinazioni, igiene, analisi e corretto impiego dei medicinali che debbono coinvolgere principalmente anche le specie animali allevate o tenute come compagnia. In questo contesto salgono alla ribalta specialmente i veterinari, che debbono avere la possibilità, con leggi adeguate, di intervenire sulle varie tipologie di rapporto uomo-animale. E anche come sentinelle attive per mettere in guardia dalle varie zoonosi. Un altro elemento importante evidenziato è il corretto rapporto tra le varie popolazioni di animali, nei confronti dell’uomo ma anche tra le specie. E i vari metodi da utilizzare nell’alimentazione di alcune che, se troppo invasive nella vita degli altri esseri, possono poi mediante mutazioni portare a malattie tra le più pericolose. Un intervento molto significativo per la nostra attività è stato fatto da Daniela Boltrini, medico veterinario che tra le tante cariche ha anche quella di presidente della riserva naturale del lago di Vico nel Viterbese. Alla domanda di un collega giornalista, che chiedeva come si tengano sotto controllo le specie selvatiche nei confronti delle varie malattie o parassitologie pericolose nei confronti dell’uomo, la dottoressa ha elencato gli interventi posti in essere nel parco che dirige. In un nostro intervento abbiamo indirettamente chiarito che è proprio l’attività venatoria che controlla le eventuali problematiche sulle migliaia di ungulati e suidi abbattuti regolarmente.
È singolare che l’opinione pubblica, anche quella “qualificata”, cioè i giornalisti presenti, non abbia la minima idea della gestione che noi cacciatori facciamo da sempre. Le riviste di settore cercano di rappresentare continuamente il ruolo dei cacciatori, ma pensiamo non facciano altrettanto le nostre associazioni. Mentre la nostra sopravvivenza e accettazione da parte del pubblico non specializzato passa proprio per il ruolo necessario che abbiamo saputo ritagliarci.
Nel congresso è stato chiarito con un ulteriore messaggio, per chi pensa che le specie animali siano indipendenti dalle nostre scelte e possano proliferare a volontà, che invece tutte debbono stare in equilibrio numerico tra loro. Pena la possibilità, tutt’altro che remota, di interferire con la salute umana e dell’ambiente stesso. Il covid ne è il classico esempio. Per cui l’importanza, aggiungiamo noi, degli abbattimenti programmati rimane priorità necessaria per mantenere la salute anche di quell’altro componente del triangolo che abbiamo enunciato in apertura: l’ambiente stesso. Che, come detto nel congresso, può dare ancor più da mangiare solo se si spreca meno e se si trovano sistemi che possano far produrre di più nelle aree già destinate a coltivazione nel mondo. Infatti tutto lo spazio per coltivare, sul pianeta, già è stato occupato.