Dopo il voto di ieri, la modifica alla direttiva europea sulle armi è realtà. In attesa della legge italiana di recepimento, ecco quali sono i punti più “caldi”. E c’è davvero poco di cui stare allegri…
Il voto di ieri ha consegnato alla storia una revisione della direttiva europea in materia di armi (91/477, già emendata e integrata nel 2008) tra le più criticate e controverse. Il testo è quello concordato dal famigerato “trilogo” tra Consiglio europeo, Commissione e Parlamento, già votato il mese scorso dal comitato Imco e confermato dal plenum dell’assemblea rifiutando ogni ulteriore emendamento. Ma cosa cambia, nella sostanza, per gli appassionati? Be’, il rischio è che cambi più di quanto si immaginava, in quanto alcune enunciazioni di questa norma sembrano fatte apposta per rendere nei fatti impossibile (o molto difficile) la detenzione di tipologie di armi che, in teoria, sarebbero consentite.
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Il primo aspetto critico è costituito dal fatto che, in pratica, con questa nuova direttiva “tutto” viene considerato arma da fuoco: sono armi da fuoco le repliche ad avancarica (che in molti casi, anche in Italia, erano di libera vendita, almeno quelle monocolpo), ma sono in pratica armi da fuoco anche le armi disattivate seguendo il nuovo regolamento europeo sulla disattivazione entrato in vigore lo scorso 9 aprile.
In teoria, tanto le avancarica quanto le disattivate sarebbero semplicemente soggette a “dichiarazione” perché inserite nella categoria C dell’allegato I della direttiva 91/477, ma nella pratica occorreranno gli stessi adempimenti previsti per le armi da fuoco moderne e funzionanti, visto che la norma prevede che “gli Stati membri consentono l’acquisizione e la detenzione di armi da fuoco solo alle persone in possesso della licenza o, per quanto riguarda le armi da fuoco di cui alla categoria C, che siano specificamente autorizzate ad acquisire e detenere tali armi da fuoco conformemente al diritto nazionale”. La conseguenza più immediata è che persone che oggi detengono legalmente armi ad avancarica o armi disattivate (ma la norma riguarda solo le disattivate in conformità del regolamento europeo, quindi solo quelle disattivate dopo il 9 aprile) potrebbero scoprire di non avere i requisiti previsti per la detenzione e, quindi, essere costretti a disfarsene. Appare evidente, in particolare, l’assurdità di aver realizzato un regolamento europeo per essere sicuri che un’arma disattivata NON sia più un’arma, per poi richiedere al detentore gli stessi adempimenti previsti per le armi da fuoco. Verosimilmente, una norma di questo genere rappresenterà un colpo mortale sia per il mercato delle armi disattivate, sia per le repliche ad avancarica. Oltretutto, anche per le armi di categoria C sono previsti adempimenti in materia di custodia, che oggi non erano richiesti, anche se tali adempimenti potrebbero essere meno impegnativi rispetto alle “vere” armi da fuoco perché è specificato che “il livello di controllo in relazione alle modalità di custodia appropriata è commisurato al numero e alla categoria delle armi da fuoco e delle munizioni in questione”. Attenzione, ripetiamo: la norma non si applica alle armi disattivate prima dell’entrata in vigore del regolamento europeo del 9 aprile, a meno che tali armi non siano poste in vendita o trasferite in un altro Stato membro (in tal caso occorrerà adeguarle alle prescrizioni del regolamento e denunciarle).
I problemi più grossi si preannunciano per i detentori delle armi demilitarizzate e dei caricatori cosiddetti “maggiorati”, ovvero di capacità superiore a 20 colpi per le pistole e 10 per le carabine. È proprio in questo caso che si concentrano le criticità della norma che, se da un lato concede, dall’altro rende di fatto impossibile, o molto difficile, l’effettiva detenzione. Vediamo perché.
Come è noto, vengono create tre nuove voci nella categoria A dell’allegato I alla direttiva 91/477 (armi da fuoco proibite), cioè: A6, per le armi demilitarizzate (armi da guerra vendute sul mercato civile dopo l’eliminazione della raffica); A7, per le armi semiautomatiche a percussione centrale con caricatori “maggiorati” inseriti; A8, per le armi lunghe semiautomatiche che, mediante l’asportazione o il ripiegamento del calcio, possono assumere una lunghezza totale inferiore a 60 cm senza veder compromesso il loro funzionamento.
Cosa cambia per chi a oggi già detiene queste armi? In teoria nulla, perché è specificato che “gli Stati membri possono decidere di confermare, rinnovare o prorogare le autorizzazioni per le armi semiautomatiche di cui ai punti 6, 7 o 8 della categoria A per le armi da fuoco che rientravano nella categoria B e legalmente acquisite e registrate prima della data di entrata in vigore della presente direttiva modificativa, fatte salve le altre condizioni di cui alla presente direttiva”. Ma è proprio l’ultima frase che fa drizzare i capelli sulla testa: “le altre condizioni”, infatti, si riferiscono al fatto che per le armi di categoria A (quindi, oltre alle “ex” civili, principalmente quelle da guerra) sono, con la presente direttiva, richieste precauzioni di custodia particolarmente rigide.
I problemi più grossi si pongono per chi vorrà acquistare tali armi dopo l’entrata in vigore della direttiva: i collezionisti sono praticamente (di fatto) esclusi, visto che è specificato “gli Stati membri possono decidere di concedere a collezionisti, in singoli casi eccezionali e debitamente motivati, autorizzazioni ad acquisire e detenere armi da fuoco, componenti essenziali e munizioni rientranti nella categoria A nel rispetto di rigorosi requisiti riguardanti la sicurezza, ivi compresa la dimostrazione alle autorità nazionali competenti di aver adottato misure per far fronte a eventuali rischi per la pubblica sicurezza o l’ordine pubblico e di custodire le armi da fuoco, i componenti essenziali e le munizioni interessate con un livello di sicurezza proporzionato ai rischi associati a un accesso non autorizzato agli stessi”. Capito? In pratica, così come è posta la normativa, per chi intenda collezionare le demilitarizzate o i famosi caricatori “maggiorati” saranno richieste misure di custodia degne di Fort knox ma, attenzione, tali misure di custodia saranno richieste anche agli attuali detentori di tali armi! In pratica, per continuare a detenere un Ak demilitarizzato da 600 euro, saranno richiesti 5 mila euro tra inferriate, allarmi eccetera. La conseguenza è che, pur essendo in teoria autorizzato il possesso, nella realtà per la maggior parte dei cittadini esso sarà precluso nella pratica.
Non va meglio per chi intenderà acquistare tali armi (o i caricatori, non dimentichiamoci dei caricatori…) per utilizzo sportivo: occorrerà dimostrare di praticare attività regolare di tiro da almeno 12 mesi e, soprattutto, le modalità di custodia dovranno sempre essere quelle appena espresse.
A parte la categoria “A”, anche per le altre armi da fuoco sono esplicitamente previsti adempimenti per la custodia: “Al fine di ridurre al minimo il rischio di accesso alle stesse da parte di persone non autorizzate, gli Stati membri stabiliscono norme in materia di adeguata sorveglianza delle armi da fuoco e delle munizioni e norme in materia di custodia in sicurezza. Le armi da fuoco e relative munizioni non devono essere facilmente accessibili contemporaneamente. Per “adeguata sorveglianza” si intende che la persona che detiene legalmente l’arma da fuoco e la munizione interessata ne ha il controllo durante il suo trasporto e utilizzo. Il livello di controllo in relazione a tali modalità di custodia appropriata è commisurato al numero e alla categoria delle armi da fuoco e delle munizioni in questione”.
In pratica, questo tipo di prescrizioni è già vigente in Italia per coloro i quali sono in possesso di licenza di collezione per armi comuni da sparo. Verrà, tuttavia, esteso anche ai semplici detentori ex art. 38 Tulps.
Un altro punto molto critico per gli appassionati è quello relativo alla verifica periodica della persistenza dei requisiti psicofisici per la detenzione delle armi (che è di 5 anni per tutti: semplici detentori, possessori di un porto d’armi, collezionisti). Nella direttiva è infatti indicato che “Gli Stati membri devono porre in essere un sistema di monitoraggio, che possono attivare su base continua o non continua, inteso a garantire il rispetto delle condizioni di autorizzazione stabilite dal diritto nazionale per tutta la durata dell’autorizzazione, nonché la valutazione delle informazioni mediche e psicologiche pertinenti. Le disposizioni specifiche sono stabilite in conformità del diritto nazionale”.
Cosa significa? Tutto e niente. Tutto, se questa norma dovesse essere interpretata dai nostri solerti ministeriali nel senso che ogni anno tocca di fare la visita medica; niente (o “poco”) se, in modo più intelligente e meno punitivo, si istituisse una forma di comunicazione tra i medici di base e l’autorità di Ps, idonea ad avvisare nel momento in cui a un detentore di armi dovessero essere diagnosticate determinate patologie. Ci perdonerete se non abbiamo tutta questa fiducia nella buona fede dei burocrati romani…
Anche se pochi, ci sono comunque aspetti positivi nel testo della direttiva: il più importante è che si stabilisce, su base europea, che le armi da fuoco trasformate a salve (come le armi per uso scenico) continuano a essere considerate armi a tutti gli effetti (come è già in Italia) e restano nella loro categoria d’origine. In questo modo, si potranno scongiurare quei casi in cui la criminalità ha comprato di libera vendita tali armi per poi ri-modificarle per sparare cartucce a pallottola. Un altro aspetto interessante è che viene eliminato dall’elenco delle parti fondamentali d’arma il silenziatore; per gli italiani però, sul momento, non cambierà nulla, perché comunque il possesso di tali strumenti è vietato dal decreto legislativo 121 del 2013.