Le prestazioni che si vogliono ottenere, certo… ma anche altri fattori non così evidenti: dalle necessità storiche a… quelle legali
Più un bossolo è capiente, più polvere potrà contenere e, quindi, più velocemente potrà spingere il proiettile. È un concetto molto semplice e banale di balistica che, nella maggior parte dei casi, si applica ai calibri per armi corte e lunghe. Però… perché allora un 9×21 riesce a essere più potente di un .38 special pur avendo un bossolo che è un bel terzo più corto? E come mai il 9×21 pur essendo più lungo di 2 millimetri ha le stesse prestazioni del 9×19 parabellum? Da queste domande scaturisce un elemento ulteriore rispetto alle “banali” leggi della fisica: talvolta, a governare il dimensionamento di un bossolo non sono solo necessità balistiche “pure”, bensì anche altri elementi che comprendono esigenze di tipo storico, commerciale e, perché no, anche legale.
Per tornare al nostro esempio iniziale, il .38 special è un calibro caratterizzato da un bossolo molto lungo ma, nonostante questo, non riesce a eguagliare le prestazioni energetiche del 9×21 che è più corto di ben 8 millimetri. Come è possibile? La ragione è determinata da fattori di tipo storico: il 9×21, che è la versione “italica” del 9×19 parabellum, è un calibro concepito fin dal principio per funzionare con le polveri senza fumo, con pressioni che oggi sono stabilite in ben 2.350 bar (metodo piezoelettrico). Il .38 special, anch’esso concepito fin dalla sua origine (1899) a polvere infume, deriva però da un calibro molto più antico, cioè il .38 long Colt, nato con la polvere nera (molto più voluminosa). In questo caso l’allungamento del bossolo non serviva per garantire un aumento delle prestazioni, bensì per impedire che la nuova cartuccia (che ha una pressione di esercizio di 1.500 bar) potesse essere accidentalmente camerata nei vecchi revolver camerati per il .38 long Colt (che lavora con una pressione massima di 900 bar), determinando danni all’arma e al tiratore. Lo stesso discorso è avvenuto per il .357 magnum (1935), sviluppato partendo dal .38 special e ulteriormente allungato per evitarne l’inserimento nei tamburi delle vecchie armi, considerando che la pressione di esercizio risulta praticamente doppia (3.000 bar). Naturalmente è possibile, in special modo con i moderni propellenti, far raggiungere le prestazioni del .357 magnum anche a una cartuccia assemblata con un bossolo .38 special, non c’è bisogno di disporre di quei 2,5 mm in più di lunghezza del bossolo .357 magnum. Ciò premesso, in realtà è sempre opportuno utilizzare bossoli .357 magnum quando si vogliono raggiungere le relative prestazioni, perché i bossoli “nativi” .357 sono anche più robusti al fondello.
A volte a determinare la lunghezza di un bossolo non sono né considerazioni balistiche né storiche o di sicurezza, bensì… legali. In altre parole, alcuni calibri “nascono” con certe dimensioni per aggirare le norme vigenti in alcuni Paesi, che proibiscono l’impiego di determinati calibri. Il caso a noi più noto è quello del 9×21, concepito per aggirare il divieto di utilizzo in Italia di armi corte in 9×19 mm. Il bossolo è più lungo di 2 mm rispetto al parabellum, ma la lunghezza totale della cartuccia risulta identica (quindi la palla è in proporzione affondata di 2 mm in più nel bossolo), così come identiche sono le pressioni di esercizio. In Francia esistono numerosi calibri di questo genere nati per aggirare il divieto (oggi non più vigente) di commercializzazione di carabine in calibri considerati “militari”, così per esempio al posto del .30 M1 Carbine è nato il .30 court con bossolo leggermente più corto. Anche nell’ambito della canna liscia esistono casi di questo genere, che vanno dall’antico calibro 13 per il fucile Greener al più moderno calibro 12 “Mil” (in foto sopra) sviluppato dalla Fiocchi per la versione militare del Franchi Spas 15, caratterizzato da un fondello con il rim più spesso rispetto al calibro 12 civile e, quindi, non intercambiabile.