Il mondo delle armi è pieno di modelli di grande successo, prodotti in milioni di esemplari e diffusi in tutto il mondo: pensiamo al celeberrimo Ak47, ma anche alle pistole Glock, alla Government 1911 e così via. Possiamo, tuttavia, affermare che per ogni modello “di successo” ce ne sono forse almeno 10 ai quali la fortuna non arrise e sui quali è calato molto rapidamente l’oblio. È il caso dell’originalissimo revolver “a caricatore” di David Dardick.
Un principio semplice
L’arma progettata da David Dardick, e per produrre la quale fondò la Dardick corporation a Hamden, nel Connecticut, è di fatto un revolver, nel quale tuttavia il tamburo ha tre sole camere. Queste ultime, per di più, hanno sezione triangolare, con uno dei lati “aperto”, cioè quello del corrispondente tratto della circonferenza esterna del tamburo stesso. Nell’impugnatura c’è un vano destinato a contenere le cartucce, che sono triangolari esattamente come le camere del tamburo: il concetto era che una cartuccia triangolare, opportunamente disposta nel caricatore in modo da incastrarla alla perfezione con le altre, occupava meno spazio rispetto a una cartuccia cilindrica e, quindi, a parità di spazio era possibile stivarne di più nel caricatore. Una molla e un elevatore spingevano verso l’alto le cartucce. Quando il tamburo ruotava, la cartuccia più alta del caricatore si inseriva nella camera inferiore del tamburo, quindi veniva portata fino a coincidere con la culatta della canna e, in quella posizione (a “ore 12”), il bordo superiore del telaio (top strap) fungeva da “terza parete” della camera, sostenendo le pressioni dello sparo. Una volta sparato il colpo, la rotazione del tamburo determinava l’allineamento della camera con il bossolo vuoto, in corrispondenza di una apertura di espulsione. Le cartucce erano a percussione centrale, in calibro .38, con bossolo realizzato in alluminio oppure in plastica. L’azienda aveva previsto anche specifici manicotti adattatori che consentivano di trasformare in “tround” (cioè “triangular round”, o cartuccia triangolare) un normale .38 special o un 9×19. L’arma fu allestita in tre differenti modelli, denominati 1100, 1500 e 2000, con capacità del caricatore variabile tra 10 e 20 cartucce. Il modello 1500, inoltre, aveva la possibilità di sostituzione della canna (lunga 4 o 6 pollici), passando dal calibro .38 al .22 anulare. Era, inoltre, prevista una conversione a carabina, costituita da un telaio con canna e calciatura, nel quale si poteva innestare il gruppo carcassa-tamburo-impugnatura della pistola. La percussione era a cane esterno, con scatto in Singola e Doppia azione.
Qualcosa è andato storto
L’inventore riponeva grandi speranze nel progetto, principalmente perché rispetto a un revolver la capacità di fuoco era molto superiore, e rispetto a una semiauto l’affidabilità era teoricamente totale, perché le cartucce erano guidate con precisione in ogni fase dell’alimentazione. Furono richiesti e ottenuti due distinti brevetti, entrambi nel 1958, per l’arma e per le specifiche munizioni. Ciò nonostante, il successo sperato non venne e quando l’azienda chiuse i battenti, nei primi anni Sessanta, meno di cento esemplari erano stati prodotti in tutto. Quali i motivi di tale insuccesso? Indubbiamente l’ostacolo più grande era rappresentato da una estetica dell’arma decisamente disarmonica, forse futuristica ma non particolarmente accattivante: in altre parole, il Dardick era uno tra i revolver più brutti mai realizzati. Il secondo problema fu che le cartucce “tround” polimeriche in realtà subivano talvolta deformazioni nel processo di alimentazione e, quindi, si incastravano di traverso nel tamburo, determinando proprio quegli inceppamenti che, secondo l’inventore, grazie al suo sistema sarebbero dovuti essere un lontano ricordo. Inoltre, le dimensioni del Tround erano molto superiori rispetto a quelle di una cartuccia convenzionale (per esempio 9×19), quindi l’ottimizzazione del volume interno del caricatore era molto più teorica che reale.
Oggi sono quindi i revolver Dardick a essere un lontano ricordo, salve sporadiche (e apprezzate dai collezionisti) apparizioni nei cataloghi delle Case d’asta statunitensi.