Mercoledì dalle 11 alle 12, 30 audizione pubblica della commissione Mercato interno e protezione dei consumatori sulla proposta di direttiva per il Controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi. All’ordine del giorno Imco ci sono altri argomenti, l'ultimo della mattinata l’esame del progetto (allegato) di relazione della presidente della commissione, Vicky Ford (Conservatori e riformisti europei).
Come noto, tale progetto, pur contenendo ancora alcune criticità, è ispirato ai criteri di moderazione e buon senso e propone la cancellazione delle misure più draconiane previste dal testo originario. Tra le modifiche più significative, senz'altro l'eliminazione delle B7 dall'elenco delle armi proibite (quindi continuerebbero a essere consentite), l'inserimento delle armi modificate a salve tra le categorie originali di appartenenza (in pratica, una pistola modificata a salve continuerebbe a restare una pistola e continuerebbe a necessitare di autorizzazione per l'acquisto…). Per quanto riguarda le armi disattivate, continuerebbe a essere consentita la detenzione anche di quelle da guerra e a non essere necessaria alcuna forma di dichiarazione all'autorità da parte dei possessori: si riconoscerebbe la validità dei certificati emessi prima dell'entrata in vigore del regolamento europeo sulla disattivazione, il quale a sua volta verrebbe emendato in alcuni aspetti.
Questo il link per assistere all’audizione: http://www.europarl.europa.eu/ep-live/en/committees/video?event=20160420-1100-COMMITTEE-IMCO.
Ecco una riassunto della situazione e le nostre proposte.
La direttiva europea “disarmista” non migliora la sicurezza dei cittadini
Lo scorso 18 novembre la commissione europea ha presentato il progetto di direttiva 2015/0269 Cod che rappresenta, per molti versi, qualcosa di assolutamente inedito nella legislazione europea: un atto che, se approvato nella sua forma attuale, darebbe una svolta autoritaria all’Ue, contraddicendo alla radice i suoi principi fondatori. Il progetto di legge si propone di contrastare la minaccia terroristica rafforzando, tra le altre misure in massima parte condivisibili, anche le norme di controllo sulla circolazione delle armi nel territorio dell’Europa.
La Commissione europea vorrebbe:
1. Confiscare e distruggere centinaia di migliaia, se non milioni, di armi da fuoco legalmente possedute e registrate a nome di cittadini onesti, collezionisti, cacciatori, tiratori sportivi, e molti altri – inclusi persino i musei.
2. Vietare la vendita legittima su Internet di armi già controllate, in quegli Stati membri dove tale pratica è consentita e strettamente regolamentata dalla legge (non in Italia).
3. Imporre regole molto più severe relativamente al possesso legittimo e alla custodia delle armi.
4. Vietare i caricatori “ad alta capacità”.
5. Imporre test medici per i possessori d'armi e costringerli a stipulare assicurazioni per la responsabilità civile.
Se tali regole fossero implementate, tali misure avrebbero solo l'effetto di:
1. Minare la sicurezza nazionale in quegli Stati membri e in quei Paesi dell'area Schengen che basano la loro dottrina di difesa sull'esistenza di un nutrito numero di riservisti;
2. Mettere in pericolo un numero enorme di cittadini onesti tramite la messa al bando e la confisca di armi da fuoco legalmente detenute ai fini per la protezione e l'autodifesa;
3. Distruggere definitivamente un gran numero di discipline di tiro sportivo e altri passatempi legittimi;
4. Privare della loro legittima fonte di reddito diverse centinaia di migliaia di persone in tutt'Europa che lavorano nel comparto armiero – e con esse, le loro famiglie;
5. Danneggiare irreparabilmente armi di grande valore storico e tecnico attualmente custodite da collezionisti privati e musei, di fatto eliminando i benefici che l'attività dei collezionisti di armi storiche comportano per la cultura e la società umana;
6. Alimentare la burocrazia a un livello tale da strozzare il mercato legale ed aumentare la spesa pubblica;
7. Aprire enormi buchi nei bilanci pubblici degli Stati membri che dovranno pagare per l'immotivata confisca e la distruzione di armi legalmente detenute – e tali costi finiranno per essere scaricati sulle spalle dei contribuenti;
8. Distrarre risorse necessarie alla lotta al crimine organizzato e al terrorismo, che verrebbero sprecate in provvedimenti inutili e punitivi nei confronti delle potenziali vittime degli stessi crimini che si potrebbero prevenire.
Il progetto di direttiva 2015/0269 Cod è assolutamente contrario ai principi fondanti dell’Unione europea, per diversi motivi:
1. Sfrutta l’onda emotiva degli attentati di Parigi per defraudare i cittadini rispettosi delle leggi di oggetti di elevato valore economico, senza peraltro offrire alcun significativo miglioramento dell’effettiva sicurezza sociale: le carabine sportive “somiglianti” a quelle militari non sono mai state utilizzate per la commissione degli attentati degli ultimi anni, né hanno un ruolo significativo nei crimini comuni, perché in entrambi i casi vengono utilizzate praticamente sempre armi da guerra vere e proprie, frutto di commercio clandestino;
2. La proposta di direttiva è stata avanzata senza eseguire alcuna valutazione sull’impatto economico che potrebbe avere sui cittadini dell’Ue: impatto che si preannuncia drammatico, perché il numero di esemplari di armi sportive “somiglianti” a quelle militari ammonta a diverse centinaia di migliaia, probabilmente milioni di esemplari, ai quali vanno aggiunti altrettanti milioni di esemplari di armi da guerra disattivate in modo irreversibile (quindi, comunque, innocue); a ciò si deve sommare il danno diretto conseguente alla chiusura delle aziende produttrici e distributrici (grossisti, armerie), con relativa perdita di migliaia di posti di lavoro. Il tutto, occorre ripeterlo, senza il benché minimo beneficio in termini di sicurezza sociale;
3. La proposta si pone come obiettivo quello di mettere al bando alcune tipologie di armi discriminate in base a un concetto, quello di “somiglianza”, che in realtà non ha alcun significato, è assolutamente indeterminato e vago;
4. Nel caso in cui la proposta fosse approvata, sia la carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea (articolo 17) sia la Costituzione italiana (articolo 42) prevedono l’obbligo di compensare i cittadini sottoposti a una espropriazione per ragione di pubblica utilità (perché tale sarebbe) a un equo indennizzo; considerando il numero di armi di questo tipo circolanti nell’Ue e considerando il loro valore, è facile prevedere che gli indennizzi, che ricadranno sui singoli Stati membri, raggiungano cifre a nove zeri;
5. Il progetto si propone addirittura di intervenire sulle armi da guerra conservate nei musei, che rappresentano un patrimonio storico-tecnico dell’umanità, portando così sul suolo europeo la stessa furia iconoclasta dimostrata dai miliziani dell’Isis a Palmira.
La via italiana può essere la soluzione
Le “acoustic weapons”. Oggi, in alcuni Paesi dell’Unione è possibile acquistare di libera vendita armi da fuoco funzionanti, che sono state modificate in modo da poter sparare solo munizioni a salve. Queste armi, che vengono definite “acoustic weapons” o “salute weapons”, in realtà sono armi vere che hanno subito la semplice occlusione parziale della canna, in modo da non poter sparare direttamente munizioni a palla. Per il resto, però, sono armi funzionanti a tutti gli effetti. La cronaca dei recenti attentati terroristici ha dimostrato che in alcune circostanze, terroristi e criminali si procurano queste armi e poi le modificano, o le fanno modificare a officine illegali, per ripristinare il funzionamento a pallottola. La soluzione più logica è adottare lo stesso principio già vigente in Italia: nel nostro Paese, infatti, tali armi (che sono qualificate “per uso scenico”) continuano a rimanere armi a tutti gli effetti: quindi, per esempio, una pistola semiautomatica o un revolver continuano a rimanere armi comuni da sparo e una mitragliatrice continua a rimanere arma da guerra. La loro detenzione è consentita ai soggetti che hanno le autorizzazioni per detenere le corrispettive versioni funzionanti, esattamente come se fossero prive di modifiche. La decisione di estendere a tutta l’Europa questa misura è senz’altro condivisibile, a patto che si faccia una netta distinzione rispetto alle riproduzioni a salve di armi (cosiddette scacciacani o “blank firing weapons”) che nascono fin dall’origine per sparare speciali cartucce a salve, sono prodotte con meccanismi e materiali differenti dalle armi da fuoco vere e presentano opportuni accorgimenti per rendere molto difficile la modifica artigianale per sparare munizioni a palla. Questo tipo di armi è, oggi, di libera vendita in tutta l’Europa e non c’è alcuna necessità per introdurre restrizioni in proposito.
Le armi della categoria “B7” sono di due tipi: quelle prodotte ex novo appositamente per il mercato commerciale, e quelle che originariamente erano armi automatiche (quindi da guerra), ma sono state in seguito modificate per la vendita sul mercato civile, eliminando la possibilità di sparare a raffica (cosiddette armi “demilitarizzate”). Per quanto riguarda quelle prodotte ex novo, i meccanismi interni di sparo sono, ormai da decenni, realizzati in modo da non essere assolutamente compatibili con la versione militare e le carcasse sono realizzate in modo da non accettare le componenti delle armi militari. Quindi, a parte l’aspetto estetico (che è irrilevante, come è ovvio), da un punto di vista meccanico e balistico, non c’è alcuna differenza tra un’arma semiautomatica che “sembra” un fucile d’assalto e un’arma semiautomatica che “sembra” una carabina da caccia. Questo è un dato certo, incontrovertibile.
Più complessa è la situazione delle armi cosiddette “demilitarizzate”: ogni Paese ha le proprie norme tecniche per rimuovere la possibilità di tiro a raffica. L’Italia, dal 2002, tramite una circolare tecnica emanata dal ministero dell’Interno, ha una disciplina estremamente rigorosa, che impedisce concretamente il ripristino del funzionamento a raffica, a meno di non disporre della stragrande maggioranza delle componenti originali di fabbrica costituenti l’arma. In altri Paesi non è così: in Belgio (esempio quanto mai d’attualità, ma anche in Germania) vige una procedura molto più blanda, che consente molto più facilmente di ottenere nuovamente il funzionamento a raffica.
Anche in questo caso, tuttavia, la soluzione esiste e non prevede assolutamente il sequestro di tali armi: basterebbe, semplicemente, adottare una disciplina unica per tutti i Paesi Ue in materia di demilitarizzazione delle armi, come peraltro già è stato fatto con la disattivazione (tramite regolamento europeo pubblicato lo scorso 19 dicembre). La cosa più semplice, e migliore dal punto di vista del risultato, potrebbe essere quella di adottare la disciplina vigente in Italia, che in 14 anni di “collaudo” non ha mostrato alcuna pecca sotto il profilo della sicurezza pubblica.
Occorre contrastare il mercato illegale, non quello legale
Il Consorzio Investigativo Europeo ha recentemente pubblicato importanti notizie sull'impiego delle armi da fuoco da parte dei terroristi.
Due terzi delle armi usate dai terroristi provengono dai Balcani, da arsenali statali scarsamente sorvegliati e a rischio di furto […] Ma in tutta la regione è possibile che un ammontare ancor più vasto di armi da guerra sia in mano a privati e nascosto in qualche cantina: nel 1997, almeno 500.000 armi da fuoco e più di un miliardo e mezzo di proiettili sparirono dagli arsenali militari albanesi nel corso delle sommosse che portarono al rovesciamento del governo di Tirana. Di tali armi oggi esiste un fiorente mercato – anche ai mercatini delle pulci – e grandi quantità ne vengono inviate in occidente tramite autobus passeggeri e veicoli privati che non vengono controllati alle frontiere. Gli ufficiali doganali non hanno possibilità d'intervenire, oppure si lasciano corrompere.
Come ha scritto il Time in uno dei suoi approfondimenti dedicati agli attentati di Parigi del 13 novembre scorso "i terroristi e gli aspiranti tali possono dotarsi di armi automatiche (che non possono invece essere acquistate o utilizzate dai cittadini della Ue) grazie agli stretti contatti che la criminalità europea (e soprattutto francese) è riuscita a creare con la malavita balcanica". Il numero 4/2014 dello Small Arms Survey, infatti, riporta che nell’area compresa fra Croazia e Macedonia una popolazione di circa 25 milioni di persone è in possesso di 3,6 -6,2 milioni di armi non denunciate, che spesso finiscono nelle mani dei contrabbandieri locali. Secondo il settimanale Vreme, invece, nella sola Serbia la cifra potrebbe essere il triplo di quella dichiarata nel 2005 dal ministero degli Interni, che allora stimava l’esistenza di 1 milione di pezzi detenuti illegalmente. Secondo quanto riferisce Analisi difesa, per capire l’importanza di questo aspetto basta pensare che gli organizzatori degli attacchi di Parigi acquistarono due versioni cinesi dell’Ak-47 e due Zastava M70 da un venditore tedesco che sfruttava i canali offerti dal deep-web.
Tutte queste armi da guerra: NON sono registrate. NON sono vendute su Internet. NON sono inviate per posta. Vengono contrabbandate tramite veicoli privati.
Nella proposta di direttiva avanzata dalla Commissione europea, però, non è stato inserita alcuna misura atta a contrastare efficacemente questo fenomeno crescente, né a controllare meglio i canali di approvvigionamento di armi della malavita. L’Unione europea dal 2013 continua a promuovere di limitare fortemente il diritto dei cittadini comunitari ad acquistare armi da fuoco per sport, svago e difesa.
Il valore del settore economico in Italia
Secondo una ricerca dell’università di Urbino, presentata da Marco Cioppi nel febbraio 2015, il giro di affari complessivo che ruota intorno al settore armiero rappresenta 7,9 miliardi di euro l’anno, lo 0,51% del Prodotto interno lordo. Il valore del settore è di 755 milioni di euro, l’effetto indotto è 630 milioni, il valore dei settori collegati è 3,8 miliardi, l’effetto indotto di questi è 2,6 miliardi. Sono circa 94 mila gli occupati, 11.358 quelli “diretti”. Le aziende sono 2.200.
L’Italia si conferma al primo posto in Europa come produzione di armi sportivo-venatorie, con una copertura di circa il 60% dell’intera offerta comunitaria, e un totale di quasi 750 mila unità. La percentuale rispetto all’Europa arriva al 70% se si considerano solo le armi lunghe da caccia e tiro, cresciute in volume del 9,08% dal 2012 al 2014, arrivando a circa 440 mila unità. Nel medesimo periodo la produzione di repliche e avancarica è cresciuta del 17,87%, mentre è diminuita quella di armi corte, dell’11,41%, che rappresenta, tuttavia, il settore più soggetto alla variabilità delle grandi commesse dei corpi di polizia.
L’Italia è inoltre il più importante paese esportatore nel mondo di armi sportive, commerciali e munizioni, in particolare negli Stati Uniti (45%), con un export che rappresenta l’89,9% della produzione, mentre la percentuale media di esportazioni dei principali settori manifatturieri italiani è 39,6%. Tra il 2012 e il 2014 sono cresciute tutte le voci delle esportazioni: +20% per le armi lunghe, +13,95% per armi corte, +20,24% per munizioni e +65% per polveri.
Gli italiani “armati”
Il milione e mezzo di titolari di licenze di armi sportive e da caccia (circa 700 mila i cacciatori) possono organizzarsi senza grandi sforzi in un efficace movimento di opinione, divenendo un bacino elettorale il cui orientamento di voto non potrà in nessun caso essere ignorato dalla politica e dalle istituzioni, perché in grado con un solo terzo dei suoi numeri di cambiare nettamente il risultato di una competizione elettorale nazionale.