Nello stesso giorno, due distinte notizie hanno lasciato l’amaro in bocca e prestato il fianco a chi intende sempre comunque gettare ombre sulle forze di polizia. In questo caso sulla polizia locale. Sciatti e inopportuni, infatti, i commenti sul web tesi unicamente a gettare discredito sulla polizia locale. Cerchiamo, invece, di fare chiarezza.
Dando per assodato che c’è sempre e comunque bisogno di una sempre più approfondita e specialistica formazione in tutti gli ambiti, dobbiamo subito sgomberare il campo da pretese inadeguatezze di un corpo di polizia piuttosto che di un altro, in questo caso la polizia locale, e si impone invece in questo caso una levata di scudi in sua difesa.
La polizia locale è infatti una realtà che quotidianamente, spesso sotto traccia, gestisce una quantità di servizi di sicurezza urbana (e non solo) in tutti i nostri centri abitati, dalle città metropolitane al più piccolo dei paesi di provincia. Ed è soggetto a una formazione periodica obbligatoria.
Il caso di Anzola dell’Emilia
Non appena appresa la notizia del ferimento a morte dell’agente Sofia Stefani è subito balzata all’occhio di ogni analista del settore l’ipotesi della pista passionale.
Purtroppo gli approfondimenti di cronaca delle ore successive all’evento hanno confermato questa triste chiave di lettura.
Se gli approfondimenti investigativi confermeranno definitivamente questa ipotesi, ci troveremmo di fronte a un caso di omicidio passionale. Ecco che la divisa rimane fattore assolutamente estraneo a questa triste vicenda, così come l’arma utilizzata.
Ma come, si dirà, la morte della povera Sofia Stefani non è avvenuta con l’uso di armi da fuoco? Si, purtroppo sì, in questo caso lo strumento offensivo utilizzato a quello scopo infame è stata una pistola, ma è indispensabile ricordarsi che, sempre dati alla mano, le uccisioni di natura passionale avvengono con qualsiasi strumento e anzi per lo più con strumenti da taglio o da impatto come coltelli, martelli, forbici, bastoni e chi più ne ha più ne metta, tutti oggetti di utilizzo quotidiano.
Il caso di Mortara
Il caso di Mortara, invece, è di tutta natura. L’agente ventiduenne Cristian Rovida, infatti, ha perso la vita a causa di un colpo esploso dalla sua arma di ordinanza, pare in quel momento nelle mani della fidanzata.
Anche in questo caso, ovviamente, la divisa non c’entra e men che meno centra il colore della divisa stessa, in questo caso quello della polizia locale.
In attesa di conoscere gli esiti degli accertamenti Investigativi in corso, l’analista ha quale unico interesse e compito quello di trarre spunti di riflessione dagli accadimenti della vita quotidiana e in questo caso gli scenari verosimili sono solamente due.
Il primo è quello, nuovamente, di una uccisione volontaria o preterintenzionale nata all’interno di una relazione tra due individui. L’altro, per noi di maggior interesse, è quello di un colpo accidentale.
I colpi accidentali
Le cartucce non godono di vita propria e i colpi non “partono” da soli, men che meno le armi “sparano” da sole. L’esplosione di un colpo accidentale rappresenta, infatti, una gravissima e pericolosissima falla nel processo che lega una decisione consapevole a un’azione, vale a dire la pressione esercitata sulla leva del grilletto. Come tale, un colpo accidentale è sempre figlio di un grave errore che colpisce il processo decisionale oppure, dall’altro lato, l’azione del dito.
E siccome sembra che in questo caso l’azione di scatto sia stata eseguita da una persona diversa dal proprietario dell’arma, si impongono riflessioni circa i doveri di diligenza nella custodia dell’arma, che si traducono nel dovere di avere sempre pieno controllo su uno strumento che resta, comunque, intrinsecamente pericoloso.
Nel momento in cui il titolare del dovere di custodia si spoglia del controllo materiale sull’arma, si assume ogni responsabilità circa le persone alle quali viene consentito l’accesso alla stessa, come nel caso in cui una persona mostri la sua arma a un’altra persona.
In quel caso viene da chiedersi come mai un’arma sia stata mostrata o comunque messa nella disponibilità di un’altra persona con la possibilità di essere caricata e quindi, verosimilmente, con il caricatore carico, inserito. E magari, addirittura, anche con il colpo in canna.
Chi scrive crede agli incidenti ma non crede affatto nel caso. Un incidente è sempre il risultato di uno o di una catena di errori o comunque di inconvenienti.
In questi giorni è stato un continuo susseguirsi di interviste rilasciate da esperti o presunti tali in ogni canale della comunicazione, a partire dalla televisione, e abbiamo assistito alle ricostruzioni più strampalate. Troppi gli sproloqui sul fatto che l’agente di Anzola dell’Emilia avesse, dopo il fatto, l’arma con colpo camerato, il che è indice esclusivamente della presenza di caricatore rifornito inserto nell’arma e del fatto che, dopo l’esplosione di un colpo, il funzionamento semiautomatico della pistola abbia caricato una nuova cartuccia: l’arma, insomma, era rifornita e pronta all’uso.
Fino al caso di Mortara, il cui unico dato emerso è che la pistola sarebbe stata messa nelle mani della persona che ha agito sul grilletto in condizione di “arma carica”, quanto meno nella capacità di esplodere il primo colpo.
Come ovvio, in questo caso, l’imperizia più impattante sulla causa dell’incidente ha a che fare con la violazione di un preciso dovere di custodia, che si è tradotta nel consegnare un’arma carica in mani diverse da quelle del suo proprietario, prima ancora che di imperizia tecnica nel maneggio.
Anzitutto perché non c’è dato sapere se il colpo sia stato esploso volontariamente, poi perché, ancor di più, qualsiasi eventuale imperizia nel maneggio nell’arma sarebbe stata superata se solo l’arma fosse stata verificata come scarica, condizione che la avrebbe resa un pezzo di ferro (o polimero) inerte. Un’arma, infatti, è semplicemente un pezzo di materiale inerte fino al momento in cui non viene camerata la prima cartuccia, azione che trasforma appunto un pezzo di ferro inerte in un’arma. Anche in questo caso, per favore, non coinvolgiamo la polizia locale nelle nostre riflessioni.
È troppo recente, infatti, la triste e fumosa vicenda in cui perse la vita Marco Vannini, proprio in circostanze tutt’oggi avvolte nel mistero ma che, in buona sostanza, si riassumono incontestabilmente nel fatto che un colpo di arma da fuoco partito dall’arma di ordinanza di un sottufficiale della marina, impiegato dell’intelligence, ha ucciso il ragazzo.
Escludiamo quindi, per favore, la polizia locale da ogni valutazione relativa a questi due tristi episodi. E continuiamo a divulgare, invece, la cultura di doveroso rispetto di ogni regola di custodia e maneggio delle armi, perché nessuno può sentirsi esonerato dal rispettare fedelmente e marzialmente le regole di sicurezza, né forgiati esperti né neofiti, né portatori professionali di armi né semplici appassionati. Le armi da fuoco, come ogni oggetto intrinsecamente pericoloso, hanno regole inviolabili.