Con sentenza n. 8786 del 3 maggio 2024, il Tar del Lazio, sezione prima stralcio, ha respinto il ricorso di un cittadino contro il rifiuto da parte della locale autorità di pubblica sicurezza di rinnovare il porto di pistola per difesa personale. A lasciare abbastanza basiti sono le motivazioni addotte a conforto della decisione dapprima dell’autorità di pubblica sicurezza, quindi dei giudici. In sostanza, a corredo della richiesta di rinnovo del porto di pistola per difesa personale il richiedente aveva anche allegato un verbale, precedente di pochi mesi rispetto all’istanza, relativo a una rapina subita. Ebbene, l’autorità di pubblica sicurezza non aveva comunque ritenuto congrua la motivazione, argomentando che la descrizione della rapina resa nel verbale “non era tale, per le concrete circostanze di fatto dell’episodio, da palesare una situazione di rischio concreta e specifica idonea a giustificare il rilascio del porto d’armi”. Considerazione fatta propria dai giudici, che hanno respinto il ricorso spiegando che “Quanto fin qui evidenziato induce il Collegio a ritenere che, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, l’amministrazione abbia compiutamente valutato le osservazioni da quest’ultimo prodotte nel corso del procedimento amministrativo. Il gravato diniego del 23/01/2020 risulta, poi, congruamente motivato in riferimento alla necessità che l’autorizzazione al porto di pistola sia giustificata da esigenze di tutela della persona del richiedente e non dei suoi beni per i quali l’ordinamento prevede altri e diversi sistemi di vigilanza. Tale valutazione, oltre che compiutamente esplicitata nell’atto impugnato, risulta congrua e coerente con l’ampia discrezionalità di cui è titolare l’autorità amministrativa in sede di valutazione del rilascio per l’autorizzazione al porto d’armi, sindacabile in sede giurisdizionale solo nei casi di palese illogicità ed errore di fatto, nella fattispecie non ravvisabili. In questo senso merita di essere condiviso l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività” e “il giudizio che compie l’Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell’interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici” (Cons. Stato n. 1335/24; nello stesso senso Cons. Stato n. 1141/24). Alla stregua di tali coordinate giurisprudenziali il gravato diniego di porto di pistola deve essere ritenuto, nel merito, immune dai vizi prospettati dal ricorrente”.
Ora, se si parla di rapina, a mente di quanto riportato dal codice penale, si parla di un reato che prevede (diversamente dal furto) l’esercizio da parte del criminale di “violenza o minaccia”. Quindi il fatto stesso che il reato si sia verificato evidenzia che la situazione di rischio di avere conseguenze per la propria incolumità, da parte del cittadino, e non semplicemente nei confronti dei suoi beni, c’è ed è concreto e solo per un fortunato caso, nello specifico, queste conseguenze non si sono verificate. Già da molto tempo abbiamo stigmatizzato il fatto che per prefetti, questori e giudici il porto di pistola per difesa personale possa essere rilasciato solo ai “superstiti” di atti di aggressione nei loro confronti ma, a questo punto, dobbiamo cominciare a ricredersi: essere scampati a reati di natura violenta non basta più, il porto d’armi si avrà diritto ad averlo… solo da morti.