Uno spunto ce lo dà, ma noi lo diciamo da anni, il grande Kevin Costner. L’attore, regista e produttore interpreta un allevatore in un suo ultimo film, e risponde alle domande pressanti di una manifestante animalista contro appunto gli allevamenti. Lui, dopo avergli elencato che per dare da mangiare agli esseri umani, in un terreno da coltivare bisogna uccidere tutto, anche sotto terra (quindi ogni rana, serpente, topo, arvicola, talpa, verme, quaglia eccetera), aggiunge: “Per cui la vera domanda è: quanto deve essere “carino” un animale perché vi interessi se muore per sfamarvi…?”. E questo ci riallaccia al discorso, o meglio inganno animalista, dei cervi d’Abruzzo. In questi giorni, Wwf in testa, si sta cercando, a suon di carte bollate e amici politici, di fermare la scelta che l’associazione, per bocca di un suo responsabile, Dante Caserta, definisce scellerata: l’abbattimento di alcuni capi disposto dalle autorità locali. Definendo la presenza dei cervi una “immagine identitaria” per cittadini e turisti… un simbolo della natura che regna in questi luoghi. Il ritornello è che la decisione sarebbe stata presa “per accontentare un piccolo gruppo di cacciatori verso i quali il Presidente e il suo vice, Emanuele Imprudente, manifestano da sempre una stretta vicinanza”. Vorremmo ampliare il discorso con pochi e sconosciuti, o meglio taciuti, dati. Che le giunte di tutta Italia siano piegate al volere dei cacciatori è vera e propria aria fritta. In Italia ci sono circa 500.000 cacciatori titolari di tesserino, quindi autorizzati all’attività. Dai quali tra migratoristi, cacciatori con cani da ferma, cinghialai, se ne possono ampiamente togliere 300.000, ai quali i cervi non interessano proprio. Se diamo per scontato, e lo è, che i rimanenti 200.000 siano cacciatori di selezione, almeno il 50% non sono abilitati al cervo, bensì solo su cinghiale. Visto che solo il Wwf ha circa 100.000 iscritti in Italia e 40.000 circa la Lipu, 20.000 la Lav, e circa 17.000 l’Enpa, dai loro dati, se aggiungiamo tutte le altre decine di sigle animaliste, comparate ai selecontrollori, c’è da domandarsi chi rappresenti meglio una lobby da “soddisfare”: noi o loro? Visto che poi supportare l’animalismo a livello politico rende sempre la coscienza pulita, al contrario del sostegno ai cacciatori? Poi, visto che i cervi non vivono solo nei coltivati, ma principalmente nei boschi, dai quali provengono, per impedirne la proliferazione e i danni, secondo loro, dovremmo recintare l’Abruzzo intero? Una recinzione per cervi deve arrivare almeno a 2,5 metri, perché un cervo adulto salta comodamente fino a 2,30 metri circa. Sottopassi e sovrappassi, decantati da loro, che utilità dovrebbero avere? I cervi sono stanziali, e lì rimangono perché “viziati” nei paesi. Nelle regioni confinanti ce ne sono altrettanti. Supporta la decisione Roberto Rampazzo, Direttore Coldiretti Abruzzo, che dichiara “Bene il controllo faunistico di questa specie, così come già previsto da molti anni in molte regioni Italiane, allo scopo di riequilibrare la fauna con attività di contenimento in eccedenza di popolazione…” I cervi cacciabili da decenni in tutte le altre regioni del Centro e Nord Italia sono quindi diversi? Oppure il cervo in Abruzzo, meglio nei paesi, fa business in quanto i turisti ingannati dal richiamo animalista, a cui fanno credere che la Natura deve essere così, spendono in bar, alberghi, carburante, autostrade, souvenir, giornali e tutto il resto? Non si fa del male secondo voi? Si fa, invece. Ai tanti turisti in buona fede che sono ingannati da questa visione falsa della Natura, che porta poi ad abbattimenti concentrati, a forza di osteggiarli per anni. Un animale è tale se conserva la sua più grande dote: la selvaticità. Libero e invisibile. Invisibile ma presente. Non patetici cercatori di pagnottelle nelle strade dei paesi in cambio di una carezza. Inoltre, se sempre secondo il Wwf nonostante i tanti abbattimenti i cinghiali sono ancora troppi, è perché fanno ancora base nelle loro aree protette: parchi, parchetti, aree naturali e simili. Lì si rifugiano, si riproducono, uscendo solo per fare i danni che sappiamo. Per inciso tutto questo ha irrimediabilmente rovinato la biodiversità, da loro venduta un tanto al kg. Quando i cervi sono troppi calano i caprioli, muore il sottobosco fino a 2,5 metri, perché i cinghiali si ergono sulle zampe posteriori per mangiare. Spariscono istrici, tassi, rane, ricci, serpenti, insetti, lombrichi, perché la terra secca, asciugata dal sole che non ha ostacoli, non produce più riparo e cibo a questi animali. Per cui, quanto deve essere carino un animale perché abbia il diritto di vivere anche lui, oltre ai cervi?
Gli animali devono essere “carini”
La diatriba sull’abbattimento dell’esubero di cervi in Abruzzo non si placa, ma evidenzia anche l’ipocrisia dell’animalismo che tutela solo gli animali “carini” a discapito degli altri