Tobias Rathjen, il folle che nella città tedesca di Hanau ha aperto il fuoco contro alcuni locali frequentati da stranieri, potrebbe aver avuto il porto d’armi “compiacente” grazie a un poliziotto neonazista
La strage di Hanau ha portato agli onori (si fa per dire) delle cronache il quarantatreenne Tobias Rathjen, che ha aperto il fuoco contro alcuni locali pubblici frequentati da stranieri, togliendosi poi la vita. Rathjen era un legale possessore di armi e questo, ovviamente, ha scatenato immediatamente commenti e domande sul livello dei controlli sui requisiti psicofisici dei detentori di armi in Germania, Paese che, nell’ambito dell’Unione europea, ha comunque una delle legislazioni più rigorose in materia di armi. In particolare desta sconcerto il fatto che la licenza in materia d’armi fosse stata rinnovata l’anno scorso malgrado il soggetto non fosse nuovo a segnali di disagio mentale. Secondo quanto riportato dall’edizione internazionale di Der Spiegel, tanto per fare un esempio, Rathjen aveva presentato denunce in due differenti uffici di polizia, nel 2002 e nel 2004, lamentando di essere sotto sorveglianza illegale e lo scorso novembre aveva reiterato la propria denuncia direttamente presso la procura federale di Karlsruhe, con un rapporto di 19 pagine nel quale faceva riferimento a uno “sconosciuto servizio segreto” che, a quanto pare, lo spiava. È significativo osservare che parte del testo di quel rapporto di 19 pagine è stato riciclato nel pamphlet che il folle ha utilizzato come “sigillo finale” al proprio atto insensato, pubblicandolo sul proprio profilo Social.
Desta preoccupazione anche il fatto che tra gli elementi dell’organizzazione terroristica neonazista “Gruppo S”, recentemente sgominata in Germania, ci fossero alcuni appartenenti alle forze dell’ordine, tra cui il poliziotto Thorsten W., che tra il 2013 e il 2014 aveva lavorato nell’ufficio porto d’armi dal quale dipendeva Rathjen. Una delle ipotesi (per il momento è solo una ipotesi) al vaglio degli inquirenti è, pertanto, quella di una sorta di “fratellanza ariana” che avrebbe consentito a Rathjen di disporre di una autorizzazione in materia d’armi (e continuare a disporne) in virtù delle sue opinioni xenofobe fino al maniacale, piuttosto che sulla correttezza dei suoi requisiti psicofisici e legali. D’altro canto le esternazioni decisamente estremiste del soggetto andavano avanti da tempo e hanno lasciato copiose tracce sul Web, quindi sarebbe difficile giustificare altrimenti il fatto che le autorità competenti non abbiano mai valutato gli opportuni provvedimenti.
A fronte del fatto, quindi, che quando si verificano fatti del genere, molti si affrettano a chiedere misure più rigide sul possesso legale di armi, in realtà in molti casi gli abusi da parte dei legali detentori potrebbero essere scongiurati nel momento in cui ci si preoccupasse di assicurare il funzionamento corretto delle regole già esistenti. Un po’ come avvenne a Milano nel 2003 con l’ormai tristemente famoso caso Calderini.