È di questi giorni la protesta legata alla notizia della sovrappopolazione dei daini nella pineta di Classe, nel Ravennate, e nel Po di Volano. Vicenda cavalcata dai soliti gruppi animalisti, da politici del gruppo misto dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna, con aggiunta di cittadini interessati al problema. Non per l’esubero di questa specie in sé, ovviamente, bensì per il piano di sfoltimento che è stato deciso dal Parco del delta del Po onde riportarne il numero in limiti accettabili, sia per la specie stessa sia, specialmente, per il territorio che occupano.
È stato deciso di incaricare un’azienda che, dopo aver trattato il prezzo della carne che ne ricaverà, procederà poi al susseguente sfoltimento con un sistema che ancora non sembra essere stato identificato: abbattimento? Cattura da vivi e successiva macellazione in strutture esterne? Abbattimento immediato dopo la cattura? I particolari non cambiano la sostanza: i daini sono troppi e non possono rimanere così tanti nello spazio a disposizione della Pineta. La loro provenienza è la solita: animali allevati a scopo ornamentale poi fuggiti, e riprodottisi con evidente successo. Il direttore del parco a cui tocca il peso della decisione, Massimiliano Costa, ha dichiarato che “crescono in modo sostenuto al ritmo del 30% l’anno e debbono essere rimossi come da piano relativo nazionale. Seguendo inoltre le indicazioni Ispra che dice che in pianura padana non debbono esserci daini”. Oltretutto specie alloctona per la nostra penisola e che ha un’alimentazione molto impattante sul bosco, e in generale su tutto ciò che cresce fino ai circa 2 metri di altezza. Altezza che i daini in cerca di alimentazione raggiungono rizzandosi sulle zampe posteriori. A questo punto sarebbe fin troppo facile, e oltretutto retorico, dire che si sapeva sarebbe finita così: un eccessivo numero di una specie limita troppo le altre e compromette il territorio. Che tutte le altre specie hanno diritto e necessità di fuire, in reciproco equilibrio. Si poteva fare qualcosa? Certo, come in tutte le altre occasioni in cui si siano verificati episodi e problemi analoghi. La visione ottusa animalista salva-tutti, che non riesce a cambiare la mentalità pietistica sulle specie “belle”, ma che spesso non sa nemmeno che esistono anche quelle più brutte, tende sempre a ostacolare in tutti i modi i tentativi di sfoltimento delle popolazioni. Problema appartenente a tutti i parchi e zone protette sparse sul territorio italiano. Al proposito ci si è inventati di tutto: numero di predatori da aumentare perché avrebbero tenuto loro sotto controllo le specie predate: totalmente fallito per il rapporto tra lupi e cinghiali. O le altrettante visioni disneyane dello spostare gli animali dove non ci sono: iniziativa folle, che ha l’unico risultato di innescare il medesimo problema anche in altre zone. La più gettonata: la donazione a cittadini privati che hanno terreni disponibili. Che oltre a perpetuarne il problema (anche in cattività i daini si riproducono…), prima o poi ne farebbero scappare alcuni, rimettendo la palla al centro e ricominciando tutto da capo. Come detto altre, e innumerevoli volte, un moderato prelievo di selezione, costante nel tempo, nelle aree protette, naturalmente accompagnati e su indicazione degli addetti, manterrebbe i numeri nella normalità facendo vivere tutte le specie in reciproco equilibrio e preservando il territorio dal depauperamento. Questa è consuetudine in tutti i parchi del mondo, nei quali si attua caccia di selezione accompagnati che, oltre a mantenere il numero delle varie specie consono, mantiene anche popolazioni sane e fa entrare preziose rimesse economiche nei parchi stessi.