La recente vicenda che ha visto protagonista un orafo vicentino impone una riflessione sull'approccio di molte prefetture sulla difesa personale da parte dei cittadini
È ormai tradizione che, in molte città italiane, l’insediamento di un nuovo prefetto abbia come prima conseguenza una riduzione delle licenze di porto d’armi per difesa personale concesse ai cittadini residenti. Riduci oggi, riduci domani, è un dato di fatto che ormai il porto d’armi per difesa personale sia diventato una chimera, anche per quelle professioni che sono sempre state ritenute a rischio, come gioiellieri e orafi. È di pochi giorni fa la notizia secondo la quale un imprenditore orafo vicentino, dopo aver subìto l’ennesimo furto ai danni sia della propria attività, sia della propria abitazione (con la sottrazione di ben 80 chilogrammi d’argento), avendo richiesto il porto d’armi si sia visto rifiutare l’istanza, perché i ladri non lo avevano mai minacciato, né aggredito, né intimidito. Decisione ribadita anche dal Tribunale amministrativo regionale al quale si era rivolto l’imprenditore: i giudici infatti hanno determinato che il prefetto per questo tipo di decisioni “ha ampia discrezionalità”.
Poiché non si tratta del primo caso nel quale un porto d’armi viene negato con queste motivazioni, occorre soffermarsi su un evidente cambio di mentalità da parte dell’autorità di pubblica sicurezza nei confronti dei cittadini che svolgono lavori comunemente e pacificamente ritenuti a rischio: un tempo, per esempio, quello di orafo (oppure anche di gioielliere) rientrava a pieno titolo tra essi. E la legittimità della richiesta del porto d’armi era legata al rischio potenziale dell’attività lavorativa, non certo e non tanto agli eventuali atti di violenza subìti in precedenza dal richiedente. Perché, purtroppo, anche un solo tentativo di rapina finito male, cioè eventualmente il primo al quale il cittadino si trovi suo malgrado a dover sottostare, può anche essere quello “definitivo”.
Il porto d’armi può essere la soluzione assoluta e totale a questo tipo di rischio? Certamente no, ma è altrettanto evidente che c’è decisamente qualcosa che non va in una mentalità da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, che subordina la necessità di difendersi efficacemente da parte del cittadino, al fatto che il cittadino medesimo debba essere “sverginato” in qualità di vittima.
A questo punto, però, la domanda da porsi è un’altra: nel momento in cui lo sfortunato orafo, o un altro cittadino che avesse richiesto un porto d’armi vedendoselo rifiutare, dovesse subire un danno alla propria incolumità, Dio non voglia con conseguenze permanenti, chi se ne assumerà la responsabilità? La prefettura? Chissà perché, ma riteniamo di poter scommettere di no…