È terminato ieri il periodo concesso dal governo neozelandese ai cittadini per consegnare, dietro indennizzo, le “armi d’assalto” che sono state in tutta fretta vietate dopo la strage di Christchurch.
Anche se i locali gruppi disarmisti parlano già di un successo, sta di fatto che le autorità neozelandesi non sono altrettanto entusiaste dei risultati del “buyback”: secondo i dati diffusi ieri (a poche ore dalla scadenza), infatti, sono state consegnate solo 56.350 armi (e 188.000 componenti e accessori, come caricatori eccetera), considerando che le stime sulla consistenza sul territorio del numero di armi divenute vietate era compreso tra le 170 e le 250 mila, appare evidente che la consegna sia avvenuta per meno di un terzo del totale, anche non contando gli eventuali “ritardatari” che abbiano deciso di effettuare la consegna nelle ultime ore o negli ultimi minuti disponibili. E questo nonostante il fatto che da oggi in avanti una qualsiasi consegna volontaria non sarà seguita da alcun indennizzo, ma soprattutto che un cittadino trovato in possesso di un’arma vietata potrà rischiare fino a 5 anni di prigione, oltre ovviamente alla perdita di qualsiasi autorizzazione in materia di armi.
Tra le motivazioni alla base della reticenza da parte dei cittadini a consegnare le armi, ci sarebbe innanzi tutto una comunicazione non chiara da parte delle autorità politiche, in merito alla campagna in atto: molto banalmente, svariate persone (specialmente quelle che vivono nei piccoli centri rurali) non sono entrate a conoscenza della campagna di consegna o sono convinte che le loro armi legalmente detenute non siano tra quelle ricadenti nel bando; questo è uno dei motivi per i quali le associazioni dei possessori di armi avevano chiesto al governo un periodo finestra di maggior durata (un anno) per portare a termine la consegna delle armi. C’è anche un altro aspetto, legato al fatto che molti proprietari hanno considerato insufficiente l’indennizzo fissato dalle autorità (legato anche, in parte, a valutazioni soggettive come lo stato d’usura), altri ancora hanno considerato semplicemente inaccettabile come lo Stato sia addivenuto a una decisione così drastica, senza in pratica ascoltare le motivazioni e le ragioni dei legali detentori e senza prendere minimamente in considerazione la possibilità di una trattativa che consentisse di salvaguardarne i diritti e le ragioni. L’unico risultato apprezzabile è, quindi, a oggi, quello di aver trasformato in criminali una categoria intera di cittadini e, probabilmente, di aver consentito alla criminalità (quella vera…) di avere accesso a un quantitativo senza precedenti di armi. Anche guardando la questione dal punto di vista più rigoristico, non si può non notare come l’iniziativa della messa al bando delle “armi d’assalto” sia stata presa in ossequio a fini propagandistici e politici, senza però preoccuparsi dell’effettiva fattibilità: a puro titolo di esempio, appare quantomeno bislacco (se non peggio) il fatto che si sia deciso di dichiarare illegali intere categorie di armi, senza che (dal lontano 1982) esistesse un registro nazionale che consentisse la tracciabilità delle armi e dei relativi detentori. I risultati sono questi e non sono particolarmente edificanti…