Il Consiglio di Stato torna sui motivi ostativi al rilascio del porto d’armi, confermando che il precedente non è più tassativamente preclusivo
Di Adele Morelli*
Di particolare rilievo è la recentissima sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, del 19 novembre 2019, n. 7901, che interviene in maniera chiara ed esplicativa sul nuovo testo dell’art. 43 Tulps, come modificato dal decreto legislativo n. 104/2018. La sentenza contiene un importante passaggio che indica agli uffici di pubblica sicurezza le modalità operative da seguire in sede di istruttoria, al momento della richiesta di rilascio di Pda da parte di un soggetto a suo tempo condannato per un reato di cui all’art. 43, comma 1, Tulps (la norma si applica: ”a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico; c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.”) e successivamente riabilitato. I Giudici di Palazzo Spada infatti così relazionano: “L’art. 43, comma 2, Tulps attualmente in vigore (come modificato dall’art.3 comma 1, lett. e del D. Lgs n.104 del 2018), infatti, prevede che l’Amministrazione competente al rilascio o rinnovo del porto d’armi “può”, e non più “deve”, rifiutarlo ai soggetti condannati per i delitti di cui al primo comma per i quali sia intervenuto il beneficio della riabilitazione, così configurando come discrezionale (e non più vincolata) la valutazione rimessa all’Autorità di pubblica sicurezza. Con la conseguenza che in una situazione come quella dell’appellante, in cui le condanne penali risultino superate dalla concessione del beneficio della riabilitazione, l’Amministrazione dovrà procedere a considerare se la situazione complessiva del richiedente sia favorevolmente apprezzabile per l’assenza di ulteriori condanne e recidive, per la risalenza nel tempo delle condanne riportate, per l’esistenza di rinnovi pregressi del titolo e, più in generale, per la “buona condotta” tenuta negli anni.”. Analogo principio è stato sancito da altra pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. III, 15 ottobre 2019, n. 6995, secondo cui “È illegittimo il provvedimento di diniego del rilascio o del rinnovo del porto d’armi per il solo motivo di una condanna penale riportata anche decenni prima dal richiedente, con un giudizio del tutto svincolato da qualsivoglia considerazione attuale della sua personalità”.
Tali pronunce danno evidenza di aver recepito il principio, introdotto con la norma riformata, per cui, in caso di condanna per uno dei reati di cui al comma 1 dell’art. 43 Tulps, se nel frattempo è intervenuta la riabilitazione, l’Ufficio deve concedere il titolo, e può opporre un diniego solo se valuti negativamente eventuali fatti intercorsi successivamente alla sentenza di riabilitazione (cfr. ultimo periodo della circolare del Ministero dell’Interno nr. 557/PAS/U/012678/10900(27)9 del 12.09.2018: “Conseguentemente, gli elementi in grado di conferire rilevanza alla condanna devono riferirsi, in linea di principio, a fatti o circostanze verificatesi successivamente alla sentenza di riabilitazione, ovvero deve trattarsi di situazioni di cui sia stato verificato che il Giudice non abbia potuto tenere conto, non essendo note”).
Il nuovo testo della norma, ormai a regime da più di un anno, pone infatti solo in termini di possibilità la ricusazione del titolo pur in presenza di una sentenza di riabilitazione, quindi come mera eccezione, che deve essere sorretta da fondate ragioni, le quali devono essere motivate in senso razionale, pena l’illogicità del provvedimento emanato e quindi la sua illegittimità, questo perché il giudizio di riabilitazione non ha un contenuto esclusivamente tecnico, ma va ad investire la condotta complessiva del condannato, fornendone un giudizio complessivo di carattere anche soggettivo.
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*Referente legale del Conarmi