La stagione rigida e particolarmente nevosa ha messo a dura prova la resistenza degli animali selvatici. Nell’immobilismo totale di istituzioni e associazioni animaliste sono molti gli ungulati che hanno ceduto al gelo e alla fame
L’inverno 2020-21 verrà ricordato come uno dei più nevosi degli ultimi decenni. Da questo si capisce, ma in questo momento i catastrofisti fanno finta di non ricordare, che i tanto annunciati “inverni tropicali”, dovuti ai cambiamenti climatici, hanno marcato visita. Invece sono arrivate, al contrario, le normali oscillazioni della natura. Da sempre ci sono stati inverni miti o molto freddi, molto nevosi o al contrario senza pioggia, e tante altre forme di meteorologia con i più disparati fenomeni. E noi cacciatori, che nella natura ci viviamo tutto l’anno e siamo profondi osservatori del meteo di ogni singolo giorno meglio degli altri, notiamo la differenza tra un anno e l’altro. Quest’anno c’è stata tanta neve, metri e metri. In montagna si è arrivati anche a 3 o 4 metri, immobilizzando tutto e tutti. Gli animali, specialmente gli ungulati, ma possiamo estendere il discorso a tutti gli altri, ne hanno sofferto di più. I predatori hanno sempre avuto modo di procurarsi cibo, ma gli ungulati non hanno avuto modo di mangiare per mesi. Molti sono morti di freddo e abbiamo visto molti video di cervi, caprioli e perfino camosci morti di freddo, perché impossibilitati a mangiare per decine di giorni. I primi a cedere sono i caprioli, che restano sommersi dalla neve, si stancano presto e soccombono per immobilità. I camosci possono sempre rifugiarsi su una parete in cui la neve non si accumula, sono forti, spingono per uscirne fuori e spesso riescono a stare in punti poco innevati. I cervi reggono di più, fino a un metro o un metro e mezzo di neve, si arrangiano a salire in piedi per arrivare sui rami degli alberi, ma il loro peso li fa sprofondare nella neve fresca.
Conosciamo bene le problematiche legate al foraggiamento: trasmissione di malattie, dipendenza dal sussidio alimentare ecc. Ma quest’anno le regioni, con beneplacito dell’Ispra, avrebbero dovuto fare qualcosa per aiutare gli animali a superare un inverno straordinario. Sarebbe stato un intervento eccezionale per una stagione eccezionale e nessuno si sarebbe fatto male per una stagione. Asserire sempre che la selezione naturale favorisce la forza della specie stessa, in casi come questo, porta a un deperimento numerico anche in zone dove ci sono voluti anni per ricreare un patrimonio faunistico di valore. Noi godiamo nel vedere la natura con i suoi abitanti sani e salvi, indipendentemente dal fucile. Questo immobilismo, naturalmente perpetrato dal ministero dell’Ambiente, che nulla vede e sa perché troppo occupato a umanizzare orsetti evasori o troppo nervosetti, rimane sulla coscienza di tutti. Anche di tutti gli animalisti, con le loro associazioni che non hanno lanciato alcun allarme e men che meno preso una balla di fieno per portarla in montagna. In questi casi tutti avrebbero dovuto dare allarmi e attuare contromisure. La natura ha perso, ma abbiamo perso un po’ tutti noi.