La cacciagione è da sempre un elemento fondamentale dell’alimentazione umana e può continuare a esserlo. A rendere merito ai pregi della carne proveniente da animali selvatici è questa volta il National Geographic con un servizio, nel sito dell’edizione principale, nella rubrica The Plate (qui in inglese: http://theplate.nationalgeographic.com/2015/04/30/want-the-ultimate-in-local-food-hunt-it).
L’articolo a firma Kristen Schmitt, grazie all’intervento del Cncn, cita anche il progetto “Selvatici e buoni. Una filiera alimentare da valorizzare” che vede coinvolto il dipartimento di scienze veterinarie e salute pubblica dell’università di Milano, l’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo e la Società italiana di veterinaria preventiva. Dopo un’introduzione sull’aumento del consumo di carne di cacciagione negli Stati Uniti e alcuni spunti di tipo sociologico ed economico, passa agli studi scientifici che certificano in qualche modo la salubrità della scelta e, per farlo, cita appunto il progetto italiano con interventi del professor Paolo Lanfranchi e di Filippo Segato, segretario generale Face Europa. Un’iniziativa, quest’ultima, che fa parte integrante del tavolo di lavoro presentato lo scorso gennaio a Roma, con replica a Hit show di Vicenza a febbraio, sulla rivalutazione della caccia e dei cacciatori in progetti di conservazione e tutela dell’ambiente insieme al mondo dell’agricoltura, dell’ambientalismo più evoluto e della ricerca universitaria.
La Schmitt ha quindi elencato una serie di considerazioni, dalla salubrità all’eticità di una scelta che è molto meno impattante sull’ambiente rispetto agli allevamenti intensivi, che da tempo si cerca di far emergere anche in Italia. Poi un raffronto che ci vede ancora in difficoltà sul piano del favore popolare verso l’attività venatoria, visti i picchi inarrivabili di Svezia (87%) e Stati Uniti (79%), ma alla fine una conclusione che fa ben sperare.
Il dato di partenza dell’approfondimento del National Geographic, che speriamo venga presto tradotto e pubblicato anche dall’edizione italiana, è la crescente attenzione internazionale verso il consumo di cibo cosiddetto a km 0. Un tema affrontato anche al recente Expo e che nelle sue molteplici sfaccettature non può lasciare ai margini un’attività così importante come la caccia (ma anche la pesca) e che la Schmitt conclude con una speranza, ovvero che – anche in funzione dell’aumento della popolazione di alcuni selvatici (come il cervo) – magari in futuro molte più persone troveranno qualcosa di nuovo nel loro piatto.